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Fulvio Fiore, Ignazio Felcher, Mauro Colombi
I Beatles in Italia
Satisfaction Edizioni, Milano, Maggio 2005 p. 74-76

Io c’ero!

di Franco Bampi

La mia passione per Beatles, nasce nelle medie quando “She loves you” diventa uno dei loro indimenticabili e immortali successi.

E da lì tutto il resto: facevo salti mortali per comprarmi i dischi appena uscivano in Italia e progettavo, come poi avvenne, di imparare a suonare la chitarra.

Per questo al concerto dei Beatles non potevo mancare.

La scelta del posto fu obbligata: quello che costava di meno, 2000 lire. Ma allora, che i pesciolini di liquirizia costavano una lira l’uno, duemila lire erano una bella sommetta. Tra le ansie dei miei genitori, che si preoccupavano degli incidenti che si verificavano ad ogni concerto (e sono sicuro che loro temevano che io potessi svenire!), e la mia impazienza venne il desiderato giorno: sabato 26 giugno 1965, la data dei due storici concerti dei Beatles a Genova!

E prima del concerto c’era ancora qualcosa che si poteva fare: andare ad accoglierli!

Non andai all’Hotel Colombia; io abitavo vicino a piazza Tommaseo e andare fino a Principe richiedeva del tempo. Decisi allora di andare a piedi alla Foce, fuori della Fiera del Mare, ad attendere il loro ingresso. E così feci. Eravamo in molti, tantissimi giovani (io avevo quattordici anni), a gridare, a gioire, ad attendere l’arrivo dei nostri idoli.

Tanti erano anche i poliziotti. Il ricordo che ho di loro io, che quasi non percepivo la loro presenza tanto ero impegnato a non perdere nulla dell’arrivo dei Beatles, è una sensazione di una loro preoccupazione mista a tensione. D’improvviso, inattesa, una camionetta, nei miei ricordi di colore nero, sfreccia quasi davanti a me e imbocca un varco che la Polizia aveva provveduto a mantenere libero. In quella frazione di secondo guardo dentro la camionetta: dietro il finestrino lo riconosco senza possibilità di errore: era lui, John Lennon con il suo solito sorrisino sulle labbra. Erano entrati nel Palazzetto dello Sport; alle quattro e mezzo del pomeriggio, cioè tra non molto, avrebbero tenuto il loro primo concerto.

Restai lì ancora un po’ e poi ritornai a casa: il mio turno sarebbe venuto tra qualche ora!

Non ricordo nulla di quello che feci fino all’ingresso nel Palasport; non so come mangiai o se ero agitato. Fatto sta che passato il controllo del biglietto entrai dentro. Ricordo bene la sistemazione: il palco era posto leggermente retrocesso verso mare rispetto al centro del Palazzetto.

I Beatles avrebbero suonato guardando verso l’ingresso più vicino alle biglietterie. Davanti c’erano i posti numerati seguiti da altri posti liberi, ma sempre troppo cari per le tasche dei miei genitori.

Io ero sulle gradinate laterali, precisamente sulla gradinata alla destra dei Beatles, a mezz’altezza. Li avrei visti abbastanza bene, anche se da una certa distanza. Mi ricordo che i Beatles erano preceduti da altri cantanti  ma non ricordo nulla dei loro pezzi, di come si erano presentati, per quanto tempo abbiano suonato: io ero lì per i Beatles e aspettavo solo loro.

Finalmente salgono sul palco.

Non so, forse oggi mi scriverei la sequenza dei brani, annoterei qualche fatto più o meno curioso: allora cantai con loro, partecipai fisicamente a quel concerto, mi identificai con quella musica, godetti di un’occasione unica e irripetibile. Erano vestiti con un vestito scuro e presentava Paul, dicendo anche qualche parola in italiano. Ma di sicuro il momento che mi colpì moltissimo fu quando Paul presentò Ringo: gridò quel nome e tutto il Palasport esplose in un applauso.

E Ringo cantò “I wanna be your man”.

Andai a casa, non lo ricordo, ma non ne dubito.

Ripensandoci adesso mi vengono due considerazioni.

Primo: partecipai al concerto da solo, nessuno dei miei amici venne a sentire i Beatles, anche se piacevano a tutti.

Secondo: allora non lo percepii e neppure ci pensai, ma oggi so che da ragazzo, a quattordici anni ebbi un’occasione unica.

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