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Il Secolo XIX
Domenica 29 luglio 2001
Lettere al Decimonono
Genova contro i Savoia
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Caro Brignola, leggo spesso le sue lettere al Decimonono.
Quest'ultima, del 12 luglio 2001, "Cancellate
l'esilio", mi ha fatto ritenere che lei ignori quanto
male i Savoia hanno fatto a Genova.
Non so se lei sia genovese, ma il Sacco di Genova compiuto
dai bersaglieri di La Marmora e la lettera di complimenti scritta
di pugno in francese da Vittorio Emanuele II dove definisce i
genovesi "vile e infetta razza di canaglie" (dopo
averli fatti massacrare!!) credo non si possano dimenticare, come
non va dimenticata la gravissima situazione degli italiani
all'estero che lei spessissimo e giustamente ricorda.
Sui fatti da me citati sono intervenute, nel tempo, illustri
personalità e anche i giornali cittadini hanno, in periodi diversi,
ricordato i misfatti dei Savoia. Parafrasando il rabbino Toaff dirò che quanto hanno fatto a
Genova è un marchio indelebile su casa Savoia.
Che poi questo Vittorio Emanuele torni o no, le garantisco,
è un problema che mi lascia del tutto indifferente: ricordiamoci
anche di quanto accadde all'isola
Cavallo...
Io ho raccolto moltissime informazioni e molti link nel mio
sito www.francobampi.it/liguria.
In particolare l'ignobile lettera di Vittorio Emanuele II è alla
pagina
www.francobampi.it/liguria/sacco/lettera_veii.htm.
Spero di averle fatto comprendere i motivi di indifferenza, e
anche di disgusto, che i genovesi come me provano nei confronti
di un Re che massacrò i suoi sudditi (Genova apparteneva al Regno
di Sardegna) e l'umiliazione che dobbiamo ancora subire guardando
quella statua in Piazza Corvetto.
Resto a sua disposizione per ogni ulteriore chiarimento e la
saluto cordialmente.
Franco Bampi
www.francobampi.it/zeneise
Genova, 13 luglio 2001
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Il Secolo XIX
Giovedì 12 luglio 2001
Lettere al Decimonono
Cancellate l'esilio
Nell'Italia della Seconda Repubblica, della globalizzazione e
dei tanti problemi socio/politici irrisolti, c'è chi persevera nel
polemizzare sulle spigolature.
Il XIII Emendamento della Costituzione impedisce ai discendenti
maschi di Casa Savoia di rientrare, a loro piacimento, in Patria.
Alla luce della storia, del buonsenso e della nostra democrazia, il
succitato Emendamento, che i Padri della Costituzione avevano voluto
transitorio, suona anacronistico. Tant'è che il Parlamento Europeo
ha deliberato che Vittorio Emanuele e suo figlio Emanuele Filiberto,
cittadini italiani all'estero senza la podestà d'esercitare il loro
libero arbitrio possano tornare in penisola.
I partiti nazionali, di maggioranza e d'opposizione, hanno
dimostrato la loro disponibilità ad abrogare una palese ingiustizia
costituzionale. L'eccezione, come già si era verificato per l'approvazione
del voto dall'estero dei nostri connazionali, è quella dei Comunisti
Italiani guidati dal "compagno" Cossutta. Mi auguro, proprio nel
rispetto del nostro Potere Legislativo, che la questione sia risolta,
entro il 2002, in aula. In caso contrario, pur non piacendo a Cossutta,
potrebbe scattare la richiesta di referendum popolare per la Cassazione
del XIII Emendamento. A questo punto, giova più l'obiettività degli
eventi che l'ottusità dei principii. L'Italia è una Repubblica: nessuno
ne dubita. L'esilio non ha più motivo di essere e molti la pensiamo
come lo scrivente.
Giorgio Brignola
Movimento degli
Italiani all'Estero
e-mail: w1pdv@iol.it
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Il Foglio
Sabato 3 maggio 1997
La Giornata - In Italia
Da "Il Foglio": «Le leggi razziali un'onta che rimane
indelebile per la storia dei Savoia» lo ha detto il rabbino di Roma,
Elio Toaff.
Vittorio Emanuele corregge una sua dichiarazione di giovedì al Tg2,
secondo cui «le disposizioni antiebraiche del '38 non furono così
terribili» e afferma che furono «certamente un errore».
[ ritorna al testo ]
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Vittorio Emanuele
durante il processo per omicidio a Parigi, nel
1991 |
Un colpo di fucile nell'agosto 1987. Il principe Vittorio
Emanuele, poco saldo nei nervi, ebbe nell’isola di Cavallo, anzi
Cavallò in Corsica, un litigio ad alto tasso alcolico con un playboy
romano Nicky Pende, che l’aveva apostrofato con un pittoresco:
«Principe di m.» A Vittorio Emanuele scappa uno sparo nella
notte e a farne le spese è un giovane velista tedesco, Dick
Hammer, che dormiva tranquillo nella sua barca. Vittorio
Emanuele venne processato davanti alla "Chambre d'accusation"
di Parigi e prosciolto dall'accusa di omicidio volontario (sola
condanna: sei mesi con la condizionale per porto abusivo d'arma),
con qualche protesta dell'opinione pubblica e l'indignazione dei
parenti del ragazzo morto.
(Vedi anche societacivile.it)
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Il Secolo XIX
Giovedì 2 agosto 2001
Lettere al Decimonono
Ancora sui Savoia
Sulla questione del rientro dei discendenti maschi di Casa Savoia,
lo riconosco, si è innescato un interessante scambio d'opinioni
via posta elettronica.
Anche se il mio recapito e-mail era sbagliato su quanto è stato
pubblicato lo scorso 12 luglio, non sono stati pochi i lettori di questo
quotidiano che sono riusciti a contattarmi. Tra questi anche il signor
Bampi, il cui scritto in proposito è stato ripreso nel numero di domenica
29 luglio proprio in quest'utile ed interessante rubrica.
Sono genovese da generazioni. Conosco la storia d'Italia ed il ruolo
che la Casa Savoia ha avuto nell'unificazione del Paese. Ho ponderato,
com'è logico, gli intrighi politici che hanno caratterizzato la Real
Casa. Né sono, o non sono mai stato monarchico. Però il rientro in Italia
di Vittorio Emanuele e di suo figlio Emanuele Filiberto resta una mia
convinzione; anche suffragata dal parere, più che autorevole, del
Parlamento Europeo.
A chi mi ha chiesto le motivazioni di questa mia presa di posizione,
posso riconfermare quanto ho già espresso in altre sedi.
Gli eredi maschi di Casa Savoia sono, a ben osservare, italiani
all'estero non per libera scelta e privati della potestà di poter
esercitare, in forza di un marginale dettato costituzionale, il loro
libero arbitrio di rientro.
Sotto il profilo storico/politico, debbo rammentare che, al momento
dell'esilio, Vittorio Emanuele era un bimbetto e suo figlio, Emanuele
Filiberto, non è neppure nato in Italia. Quindi sarebbe assai poco
democratico, dato che il caso non si presenta da solo, far ricadere le
eventuali responsabilità dei padri sui figli.
Su questa tesi, ad oltre mezzo secolo di repubblica, ogni altra
considerazione appare scontata.
Giorgio Brignola
w1pdv@iol.it
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