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Le Leggi Nuove

Testa di Maglio

«Il Dialogo», n. 2 - giugno 2000

L'epoca dei dogi perpetui (1339-1528) è un periodo della storia genovese tormentato da continue lotte e congiure tra le opposte fazioni. Per avere a Genova un governo più stabile bisogna attendere il grande Andrea Doria che nel 1528 riformò la Costituzione istituendo il dogato biennale (1528-1797). Per questo Andrea Doria fu detto Padre della Patria, gli fu regalato il palazzo, acquistato con pubblico denaro, che si trova al n. 17 di Piazza San Matteo e gli venne eretta una grande statua posta a Palazzo Ducale. Nel 1547 lo stesso Doria modificò ulteriormente la Costituzione con la cosiddetta legge del Garibetto. Ma Genova non era ancora al riparo dalla lotta tra le fazioni. L'assetto definitivo si raggiunse con le Leges Novae giurate e accettate nella Cattedrale di San Lorenzo il 17 marzo 1576. Il principe Gian Andrea Doria, che si adoperò per quella riforma, fu chiamato Conservatore della libertà della Patria e gli venne eretta una statua posta sul piedistallo di Palazzo Ducale in Piazza Matteotti, accanto a quella dello zio Andrea. Le due statue furono distrutte dalla furia giacobina nel 1797: oggi possiamo ammirare quella di Andrea Doria per opera dello scultore Lorenzo Garaventa, scomparso di recente.

Due sono gli aspetti delle Leges Novae che intendo qui sottolineare. Il primo riguarda le maggioranze molto alte necessarie per approvare le leggi. L'iniziativa legislativa spettava ai due Serenissimi Collegi: il Senato composto da 12 membri e la Camera composta da 8 membri più tutti gli ex Dogi. I due Collegi, riuniti insieme, approvavano con 4/5 dei voti il disegno di legge. Quindi lo sottoponevano al Consiglio Minore, composto prima da 100 nobili poi da 200, che votava assieme ai membri dei due Collegi. Se il disegno era approvato con 2/3 dei convenuti diventava legge dello Stato. Analoga maggioranza era richiesta per istituire nuove tasse, mentre per le modifiche costituzionali la maggioranza era dei 4/5. In questi ultimi due casi, però, occorreva l'approvazione, a maggioranza semplice, del Consiglio Maggiore, composto da 400 nobili.

Il secondo aspetto riguarda le norme tese ad evitare che chi era impegnato in cariche di governo potesse far prevalere i suoi interessi su quelli della comunità. Per questo le cariche erano di breve durata, generalmente un biennio, con divieto di rieleggibilità immediata e nessuno poteva rivestire più di un incarico al medesimo tempo. Ma la cosa più interessante è che ogni persona investita di pubblica funzione, al termine, era soggetta a sindacato del proprio operato. Infatti si riteneva che le ragioni che spingono a bene governare sono per i buoni cittadini l'amore della virtù, il premio della gloria e dell'onore, per i pravi il timore delle leggi e delle pene. Di conseguenza erano assoggettati a sindacato anche i più alti magistrati, cioè il Doge e i membri dei due Collegi, affinché chi di essi avesse male amministrato subisse la debita pena; chi invece aveva lodevolmente ricoperto l'incarico poteva conseguire, attraverso il felice sindacato, attestato di lode e di segnalazione alla pubblica ammirazione.

Paragoniamo quanto esposto con la situazione odierna: alte maggioranze significano ampia condivisione, mentre l'azione di sindacato da esercitarsi a fine mandato serve a verificare se l'azione di governo è stata efficiente e adeguata evitando così il sopravvento della burocrazia sugli interessi della comunità. La Repubblica di Genova aveva ben poca burocrazia ed era attiva, prospera e ricca. Vorrei dire oggi le stesse cose.

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