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Il Secolo XIX Sabato 27 maggio 2000
L'Intervento

Taranto e Genova, due storie parallele

Franco Bampi*

N.B. Ritengo interessante riportare l'articolo integralmente: le parte inedite sono riportate in colore grigio.

Si narra che 2000 anni prima di Cristo, corrispondenti a circa 12 secoli prima della fondazione di Roma, Taras, uno dei figli di Nettuno, sia giunto nelle terre più a nord del mar Ionio a capo di una flotta, approdando presso quel corso d'acqua che poi da lui stesso avrebbe preso il nome (il fiume Tara). E si sarebbe dedicato ad edificare, presso lo stesso fiume e presso il mare, non solo la città di Taranto che ugualmente da lui avrebbe preso il nome, ma anche quella che egli dedicò a sua moglie Satureia e che chiamò Saturo.

In questo modo, tra mito e leggenda, nacque l’antica città pugliese di Taranto che altri vuole fondata nel 706 a.C. dagli Spartani, che approdarono su coste già frequentate più anticamente dagli indigeni messapi e dai navigatori micenei.

Taranto non è una città che s’incontra tutti i giorni! Essa, infatti, si stende in mezzo a due mari: Mar Piccolo e Mar Grande. Non solo, ma si divide in due parti: la Città Nuova e quella Vecchia che sorge su un’isola ed è collegata all’altra parte della città tramite un ponte girevole che consente il passaggio delle navi dall’uno all’altro mare. La Città Vecchia corrisponde all’acropoli dell’antica città greca che si estendeva poi verso l’odierna Città Nuova con la zona pubblica, l’abitato e la vastissima necropoli. Ma, dato che la città odierna insiste su quella antica, le vestigia di Taras sono molto poche, mentre notevole è la quantità e il pregio del materiale restituitoci dalla necropoli e conservato nel bellissimo museo archeologico. Oltre al museo restano un importante esempio di urbanistica medioevale il maestoso duomo dedicato a San Cataldo con la sua struttura romanica e il suggestivo Cappellone barocco, l’alta duplice scala barocca e il grandioso portale ogivale della chiesa di San Domenico, l’imponente Castello Aragonese affacciato al Canale e il lungomare con i suoi romantici tramonti.

E nella Città Vecchia il visitatore trova, tra case umili e popolari, le case nobili e i palazzi sontuosi dove, nonostante la ristrettezza dello spazio, trovò modo di incunearsi un incredibile numero di Chiese, di conventi e monasteri: per secoli i cittadini si sono crogiolati nel caratteristico groviglio e dedalo di strade e vichi, rampe, salite e scalette.

Ma chi oggi visita la Città Vecchia di Taranto, inadatta alle auto come il Centro Storico di Genova, trova una città fantasma: spessissimo le case sono murate, di sovente le antiche vestigia sono un pallido ricordo. La via del Duomo trasuda imponenza e nobiltà tanto antiche quanto spente: solo dove può far capolino un raggio di sole, si sente il vociare di gente e lo sventolare di biancheria stesa ai balconi. I Tarantini non abitano nella magnifica e decrepita Città Vecchia: abitano altrove, nella Città Nuova dove il traffico caotico ci fa sapere, rompendo la magia dell’antico, che il secondo millennio volge ormai al termine. La Storia di Taranto ci informa che agli inizi del secolo l’isola continuava ancora a svolgere con una certa dignità il ruolo di centro della vita cittadina. Tuttavia fu proprio col trasferimento nei nuovi rioni di molte famiglie nobili e borghesi che iniziò la decadenza dell’antica città. Il degrado della Taranto antica raggiunse il suo culmine con la mancanza di opere di ristrutturazione e di riparazione delle vie e delle case, abitate ormai soltanto da povere famiglie di pescatori. Vennero allora abbattute povere case, vere catapecchie, e demolite moltissime strutture, comprese alcune sopraelevazioni, al fine di permettere una maggiore circolazione dell’aria e la penetrazione dei raggi del sole. Purtroppo, però, furono distrutte anche molte strutture di grande valore storico ed artistico, come il complesso di S. Giovanni, chiesa e monastero, prospiciente il porto mercantile. A Taranto agli inizi degli anni ‘60 venne costruita l’Italsider, una grandissima industria capace di dar lavoro a migliaia di operai. La città ha però dovuto subire i danni ecologici che una industria così grande procura all’ambiente. E non distante sorgono le raffinerie dell’Agip che diffondono per l’aria un odore artificiale: la stessa puzza che si sentiva in Val Polcevera a San Quirico e a San Biagio. Ma si sa, quando un popolo rinuncia alla sua dignità diventa incapace di ogni reazione e ben si presta ad essere dominato. Troppo simile è la storia recente di Taranto a quella di Genova. Io amo Genova: la Genova medievale: quella che va dal Mandraccio a Capo di Faro: quella che oggi chiamiamo Centro Storico ma che dovremmo chiamare, come fanno i Tarantini e come fece il grande Fabrizio De André, Città Vecchia. Ma amo soprattutto i popoli. Per questo auguro ai Tarantini di riappropriarsi di ciò che è loro. E nel frattempo invito i Genovesi a visitare Taranto e ad addentrarsi nella Città Vecchia esortandoli a darsi da fare affinché quello che vedranno non sia il destino del nostro plurisecolare Centro Storico.

*Vice Presidente Associazione
«A Compagna»

Genova, 26 maggio 2000

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