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Bollettino «A Compagna», n. 6 - Nov.-Dic. 1999

1814: gli inutili tentativi per salvare Genova

Franco Bampi

Esiste un interessante libro (1), scritto da Massimiliano Spinola, pubblicato nel 1863 e reperibile presso la Biblioteca Berio, dove sono riportate molte notizie, corredate dai testi dei documenti, relative all’unione della Repubblica di Genova al Regno di Sardegna. Tratterò il tema di questo mio scritto traendo liberamente dal libro dello Spinola.

Dopo il disastro della ritirata dalla Russia e a seguito della sconfitta di Lipsia, il 6 aprile 1814 l’imperatore Napoleone firma l’abdicazione. In Italia Lord William Bentinck pubblica il 14 marzo a Livorno, dove era giunto dalla Sicilia, uno dei tanti proclami che invitavano la popolazione a ribellarsi al giogo napoleonico. Giunto alla Spezia e poi a Nervi, Bentinck, nella prima decade di aprile, intima la resa alle forze imperiali, rifugiatesi a Genova sotto il comando del piemontese barone Fresia. Il giorno 14 aprile gli Inglesi aprono il fuoco sulle postazioni di Sturla e di Albaro, mentre unità della loro flotta bombardano i forti Richelieu e di Santa Tecla. Il 17 il popolo insorge contro Fresia e abbatte la statua di Napoleone. Il giorno 18 aprile le truppe inglesi fanno il loro ingresso nella città di Genova e Lord Bentinck prende alloggio nel palazzo del Marchese Durazzo in via Balbi. Sabato 20 aprile il «maire» Vincenzo Spinola annuncia il mutamento avvenuto nel governo della città e invita i Consiglieri a recarsi in corpo al quartier generale di Lord Bentinck per ringraziarlo a nome della città.

Le istruzioni che Lord Bentinck aveva ricevuto col dispaccio del 28 dicembre 1813 dal ministro della guerra inglese Lord Bathurst gli indicavano che il principale scopo era l’occupazione della città e del porto di Genova e concludevano col dire: purché vi concorra la più completa adesione degli abitanti, voi potreste prendere possesso di Genova in nome e per conto di S. M. il re di Sardegna. Appena giunto sul suolo ligure Lord Bentinck si convinse subito di quanto profonda ed universale fosse la ripugnanza che avevano i genovesi, a qualunque classe essi appartenessero, di essere assoggettati alla corte di Torino. I Genovesi, infatti, si reputavano felici e soddisfatti della loro condizione considerando la prosperità e il benessere materiale e morale da essi goduto: ciò li convinceva che il reggimento di governo, cui erano sottoposti, fosse superiore a quello delle altre parti d’Italia, sebbene avessero ragione di desiderare una maggior larghezza nelle istituzioni politiche e una riforma delle leggi civili, penali ed economiche. Di conseguenza, per intima convinzione e per non avere ricevuto dal ministero britannico nuove istruzioni, Lord Bentinck poteva credere di aver la facoltà di interpretare in senso favorevole ai genovesi l’istruzione di Lord Bathurst ed appagare così il volere universale dei Liguri. Si risolse quindi ad emanare, il 26 aprile 1814, il famoso Proclama che così cominciava:

Avendo l’armata di S. M. Britannica sotto il mio comando scacciati i Francesi dal territorio di Genova, è divenuto necessario il provvedere al mantenimento del buon ordine e governo di questo Stato. Considerando che il desiderio generale della Nazione genovese pare essere di ritornare a quell’antico Governo, sotto il quale godeva libertà, prosperità ed indipendenza; e considerando altresì che questo desiderio sembra essere conforme ai principii riconosciuti dalle alte Potenze alleate di restituire a tutti i loro antichi diritti e privilegi:

DICHIARO

Art. 1. Che la Costituzione degli Stati genovesi, quale esisteva nell’anno 1797, con quelle modificazioni, che il pubblico bene e lo spirito della originale Costituzione del 1576 sembrano richiedere, è ristabilita.

La difesa della costa

Il Proclama, composto di sei articoli, si conclude con la nomina del Governo provvisorio la cui presidenza viene assegnata a Gerolamo Serra. Nello stesso giorno Lord Bentinck inviò il Proclama al Ministro degli esteri britannico, il Visconte Castlereagh; nella lettera di accompagnamento scrisse: Tutti i Genovesi richiedono la restaurazione della loro antica Repubblica, e non v’ha cosa che maggiormente li spaventi quanto l’idea di esser uniti al Piemonte, paese contro al quale, in ogni tempo, hanno provata una straordinaria avversione. Ma il Bentinck, interpretando a modo suo il compito assegnatogli e facendosi portavoce dell’opinione pubblica genovese desiderosa dell’indipendenza, prometteva quello che non era certo di poter mantenere; di contro Lord Castlereagh non voleva promettere quello che sapeva di non voler e poter mantenere. Tuttavia l’azione di Bentinck, per quanto effimera, fu efficace. Scrive il marchese Gerolamo Serra (2): È da notarsi che questo intervallo di Governo nazionale procurò molti vantaggi ai Genovesi. Primieramente il loro commercio prese un aumento, di cui non sarebbe stato suscettibile sotto un Governo straniero. Il Portofranco si riaprì con tutti i privilegi che godeva nei tempi antichi. Le dogane furono calcolate avendo più riguardo agli interessi del paese che quelli del fisco (...) Per tali cause il Governo provvisorio in nome d’una nazione, che concorreva co’ suoi sforzi, e che lo amava, ha potuto senza timore d’esser contraddetto, protestare al cospetto di tutta Europa, contro qualunque ordine sovversivo dei suoi diritti, della sua libertà e della sua indipendenza decretato dal Congresso di Vienna.

Questi erano i sentimenti di allora. Per questo Agostino Pareto, membro del Governo provvisorio e padre di Lorenzo Pareto, parlando con Lord Castlereagh affermava che si erano risvegliate in Genova quelle maggiori speranze di prosperità, che non possono mai disgiungersi dal ristabilimento dell’indipendenza e dell’antico governo. Ma il Castlereagh lo interruppe dicendo: Ma voi sareste egualmente bene riuniti alla Sardegna! Ciò udendo Pareto esclamò: Ah! Sarebbe l’intiera rovina del Paese. Interrogato del motivo dal Ministro inglese, egli lo dimostrò in due modi. Primo, la sussistenza di Genova era il commercio di commissione che non doveva essere gravato da soverchi dazi: ciò era possibile per un paese libero, ma non per uno stato come il Piemonte gravato da spese di Corte e d’armamento militare. Secondo, gli interessi di Genova erano unicamente marittimi e affatto diversi da quelli di un paese agricolo, ai quali gli interessi liguri sarebbero sacrificati. Castlereagh replicò che per uno stabilimento di commercio uno stato era di troppo; al che Pareto osservò che questa scelta avrebbe per Genova un effetto perniciosissimo, perché allora tutte le relazioni commerciali del Piemonte e della Lombardia, ora concentrate a Genova, verrebbero trapiantate in altri paesi dell’antico Dominio, che verrebbe sottoposto ad altro governo, e Genova sarebbe condannata alla più miserabile esistenza.

A nulla valsero queste proteste e a nulla portò l’accorata difesa dell’indipendenza di Genova condotta dal Marchese Antonio Brignole Sale, ministro plenipotenziario e inviato straordinario di Genova presso il Congresso di Vienna. L’ultima protesta formale del Brignole fu inserita nel protocollo del Congresso e quindi si dichiarò l’unione della Liguria al Piemonte definitivamente deliberata. Lord Castlereagh fu incaricato di dare gli ordini opportuni al Colonnello Dalrymple affinché consegnasse Genova e il suo territorio ai Commissari nominati a prenderne possesso dal Re di Sardegna. I membri del Governo provvisorio udirono con dignitoso silenzio la lettura loro fatta dal Colonnello Dalrymple della lettera di Lord Castlereagh. Essi non vi fecero sopra né osservazioni né commenti ritenendo inutile far notare l’inesattezza dell’asserzione secondo cui l’unione di Genova al Piemonte fosse necessaria per evitare di introdurre nel sistema politico dell’Italia, proveniente dall’esistenza di piccoli stati, quella debolezza contraria all’equilibrio politico voluto dalle alte potenze, mentre si stabiliva un Principato di Lucca, un di Massa e Carrara, un di Modena, un di Parma e Piacenza, un Granducato di Toscana e perfino il Principato di Monaco e Mentone e la Repubblica di San Marino, Stati, se si eccettui la Toscana, piccoli quanto la Repubblica di Genova e più deboli, per località, del Genovesato.

Il Presidente Serra, giudicando inutile ogni osservazione e qualunque lamento, si contentò di leggere in nome del Senato di Genova al Colonnello Dalrymple una protesta che così iniziava (3): Informati che il Congresso di Vienna ha disposto della nostra patria riunendola agli Stati di S. M. il Re di Sardegna, risoluti dall'una parte a non ledere i diritti imprescrittibili, dall'altra a non usar mezzi inutili e funesti: Noi deponiamo un'autorità che la confidenza della Nazione e l’acquiescenza delle principali potenze avevano comprovata.

La Repubblica di Genova aveva cessato di esistere.

NOTE

(1) Spinola M., La restaurazione della Repubblica Ligure nel MDCCCXIV, Genova, 1863.
(2) Serra G., Sopra la città di Genova negli ultimi tempi, memoria inedita scritta in francese citata da M. Spinola a p. 48.
(3) Il testo completo, reperibile in Spinola p. 233, fu riprodotto, a cura de «A Compagna», in un manifesto che fu affisso per le strade di Genova e che ancor oggi è appeso al muro della nostra sede.

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