A cappella di Çibbo
zeneise@francobampi.it
 

Intrâ > ...e chi i âtri > Mescciûa > A cappella di Çibbo
[ Inderrê ]

LA CAPPELLA CIBO
NEL DUOMO DI SAN LORENZO

     Sciacchighe addosso pe veddila grande!
 

Particolare della cappella Cibo. In primo piano il «Canonico Marmo»

Nella navata sinistra del nostro bel San Lorenzo, sotto il vecchio organo rinchiuso nel barocco armadio illustrato dal celebre pennello del voltrese Ansaldo, fa bella mostra di sé la monumentale cappella Cibo, altrimenti detta «degli Apostoli» od anche «di Canonico Marmo».

Con questo nomignolo, infatti, i popolani della Parrocchia eran soliti designare il ginocchioni simulacro destinato, forse, a indicare la tomba e a tramandar l'effigie dell'arcivescovo Cipriano Pallavicino, che appunto quivi, allato dell'Altare di cui, sotto alla sua pastorale giurisdizione, si stava procedendo al restauro, volle, da vivo, farsi erigere il sarcofago come risulta dall'epigrafe:

C. P. A. G.
Mòrtem prae oculis semper habens vivens sibi posuit anno MDLXXV

alla quale undici anni dopo, fu sottoscritta la seguente:

Cyprianus Pallavicinus Archiep. genuensis auctoritatis et prudentiae suae triste patriae desiderium relinquens obiit anno MDLXXXVI aetatis vero suae LXXVI.

Il mobile blocco di marmo scolpito, cui sopra accennammo, ha la sua sede abituale lì presso, sul pavimento, «in cornu Evangelii» e, secondo la tradizione, riprodurrebbe i tratti fisionomici del defunto Presule.

Ma non fu per dir solo questo che noi abbiamo richiamata l'attenzione de1 lettore sulla cappella Cibo!

Sciacchighe addosso pe veddila grande!     

La cappella Cibo sovrastata dal superbo organo e con tutti i personaggi di marmo che mostrano... le ginocchia

 

Assai più interessante è l'avventura che ci indusse a farlo: l'esser cioè venuti a conoscenza di un inedito manoscritto, che stranamente chiosa il fantastico concetto dell'insigne opera d'arte.

Lasciando impregiudicata la questione del suo originale motivo, in vero assai dubbio, crediamo tuttavia poter ormai, senza scrupoli, offrire alla pubblica curiosità la satirica bizzarria da noi testé ritrovata per caso durante una revisione di vecchie carte.

Sinceramente confessiamo che l'enigmatica natura del documento ci aveva a tutta prima reso perplessi; ma, in seguito, dopo avervi ben ripensato, non ci sentimmo autorizzati a seppellirlo solo perché non avevamo saputo indovinare il redattore e lo scopo; ed è appunto per ciò che infine decidemmo di renderlo di pubblica ragione, non senza, però, aver prima dichiarato che, se fosse proposto un «referendum», e dovessimo anche noi dire il nostro parere in proposito, risponderemmo così:

«I precedenti dell'Autore indiziato (Martin Piaggio), il suo stile e, più che tutto, il suo morale carattere «de bon poae de famiggia e bon cristiàn» dovrebbero far escludere che egli stesso, se pur avesse in un momento d'ebbrezza avuto il capriccio di scriverli, abbia potuto poi, a mente calma, presentare per la stampa alla censura ecclesiastica simili versi. Sarebbe, se mai, più logico ammettere che sia da attribuirne la paternità a qualche invidioso avversario suo, il quale si fosse proposto di comprometterlo nell'ambiente ortodosso della sua clientela. Altrimenti si ha da pensare ad un trucco postumo, del quale, certo, non men difficile è scoprire il motivo».

Giulio Miscosi, Genova antica e dintorni, Mondani Editore, Genova, 1974