[ Indietro ]
O Moion
Ma che cos'è o moion? È un animale vero o inesistente? C'è chi dice di averlo
visto, chi di averlo ucciso, chi infine di averne solo sentito parlare nel nostro entroterra.
Ma i più giurano che abbia «la testa di un gatto, il corpo di una serpe con la coda mozzata
del diametro di un avambraccio di un adulto e quattro zampe da rettile»; e poi «un alito
che ammorba l’aria tutt’intorno e che può causare malori».
Che esista oppure no, io riporto qui sotto quanto scrive Claudio Parodi e rimando allo
scritto sul tatzelwurm (o verme con le zampe)
di Enrico Altini per un approfondimento (sempre ammesso che il tatzelwurm sia davvero il
moion...)
O MOION
di Claudio Parodi
Vi voglio parlare di un tempo che oggi sembra non aver più nessun valore. Il tempo era
quello della mia infanzia, quando l’unico mezzo per approvvigionare le frazioni collinari
della Val Polcevera si chiamava mulo. Quanti ne ho visti - bambino prima, ragazzino poi -
in fila, tenuti assieme da una cordicella, ognuno col proprio basto, silenziosi, operosi,
ubbidienti, (contraddicendo il detto "testardo come un mulo") col mulattiere
che teneva per la "cavezza" il mulo di testa.
Però non è solo di muli voglio parlarvi. La mia è una premessa per arrivare a quando
si fantasticava anche sul misterioso Moion. Certamente molti di voi hanno sentito
parlare dei primi, meno del secondo.
Il fatto è che i vecchi amavano stupire con i loro racconti, che oggi farebbero
sorridere. Allora, forse perché non esisteva la televisione - e degli anziani si aveva
rispetto - era una piacevole consuetudine ascoltarli, dopo cena, seduti intorno ad un
tavolo. Andava bene tutto in quelle rievocazioni: fantasmi, streghe, folletti. Ma dalle
nostre parti, le conversazioni giravano sempre attorno a "o Moion", uno dei
simboli della storia mitologica contadina polceverasca.
C’era sempre chi asseriva di averlo visto, e ne raccontava convinto le incursioni
nella zona, con gli occhi che parevano persi tra i ricordi.
"Un vero scherzo della natura o Moion!" iniziava qualcuno, tra un
bicchiere e l’altro.
"Davvero?!" dicevamo noi bambini con voce tremante.
"Davvero! Aveva la testa di un gatto, il corpo di una serpe con la coda mozzata del
diametro di un avambraccio di un adulto e quattro zampe da rettile".
"“Noooo!" Strabuzzavamo gli occhi come se o Moion stesse per entrare in
quel preciso istante. Allora ci arrivava un supplemento di descrizione…
"O Moion era fornito anche di un alito che ammorbava l’aria tutt’intorno e
che poteva causare malori".
E noi ad immaginare un Moion trangugiatore d’aglio e di chissà quante altre
schifezze pur di scatenare tempeste nello stomaco del nemico o peggio ancora di farlo
morire con il suo fetido odore. Seguivano lunghe pause di meditazione, ma dopo quelle pause
riprendevano sempre più incalzanti le domande.
"Sei scappato subito? Lui correva veloce? Parlava o grugniva? Veniva d’inverno o
d’estate?"
Momenti di paura, di magia. Momenti che oggi mi mancano.
Da grande, ebbi l’occasione di leggere che poteva esserci un’analogia, nella credenza
popolare, tra o Moion ed il "Basilisco". Addirittura o Moion era
vantato dai contadini dei casolari come la rivalsa campanilistica nei confronti di chi
abitava entro le mura del paese. I paesani, invece, erano fieri del loro
"Basilisco" di medievale memoria.
Ma torniamo indietro, a circa dieci d’anni dopo i racconti dei nostri vecchi. Un
pomeriggio d’estate, già grandicello, mi trovai in un circolo della mia valle, quando
entrò un tizio che conoscevo appena. Il tizio, tutto eccitato, rivelò di aver visto o
Moion morto, nel cortile di un’osteria in una frazione a qualche chilometro dal mio
casolare. Pare lo avesse abbattuto un contadino con la "scoriatta" (la falce
fienaia) mentre stava falciando il fieno e lo avesse poi appeso per la testa alla ringhiera
esterna dell’osteria.
A quel punto, lo confesso, la mia certezza di scoprirlo io, e da vivo, vacillò sotto
il colpo della nuova rivelazione. Pensai ai racconti dell’infanzia che riportavano a
quella leggendaria creatura, ai contadini che messi alle strette dagli scettici arrivavano
a stragiurare frasi del tipo: Se no l’é vêa me vegnisse in corpo! (se non è vero,
mi venisse un infarto). Posi fine agli indugi, presi la bicicletta e partii. Giunto a
destinazione notai subito che all’esterno dell’osteria non vi era nulla di quanto descritto.
Entrai nel locale semideserto, ordinai una gassosa e non feci domande che avrebbero
potuto mettermi in ridicolo. Chiacchierai con i presenti del più e del meno, sperando
che fossero loro a riferirmi "la notizia" o in ogni caso a rivelarmi l’ombra
di un indizio. Quelli parlavano come se niente fosse accaduto. Uscii e ispezionai la
ringhiera; trovai solo un po’ di ruggine. Dunque, il tizio era un buontempone che passava
da un’osteria all’altra?
Sono trascorsi molti anni e, ad essere sincero, o Moion non l’ho mai incontrato.
Però, talvolta di notte lo sogno ad occhi aperti ed ho persino l’impressione che la
creatura dia dei colpetti sul vetro della finestra.
Tratto da "Ora vi racconto...",
liberodiscrivere, Genova 2006.
[ Indietro ]
|