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Il Giornale
Domenica 25 gennaio 2004
La città ammaina bandiera rossa
Sostituiti i contestati drappi di GeNova04 sulle due
torri di Porta Soprana
Ma il presidente Viziano difende la scelta del logo
e del colore
Genova 2004 si veste di rosso e in città serpeggia il mugugno. Sulle
torri di Porta Soprana, monumento simbolo della gloriosa e indimenticata
Repubblica, sventolano le bandiere, irrimediabilmente rosse appunto, della
capitale europea della Cultura e il mugugno si trasforma in rivolta.
La guerra delle bandiere ha segnato ieri il primo uno a zero a
favore di chi, come la Lega Nord, di bandiere rosse tollera a malapena
quelle della Ferrari. E di chi, come l'associazione «A Compagna», pensa
che la cultura della Superba in Europa e nel mondo possa essere
rappresentata solo dal vessillo di San Giorgio, quello che persino
Riccardo Cuor di Leone tanto volle per simboleggiare l'Inghilterra alla
sua terza crociata che pagò un tributo a Genova per poterla inalberare e
incutere così «timore e rispetto sui mari». Ieri sulle torri di porta
Soprana è tornata a «garrire» la croce di San Giorgio. O meglio.
L'alzabandiera ufficiale c'è stato. Ma chi oggi si trovasse a passare
da lì vedrebbe i due pennoni abbandonati a se stessi. A rovinare la festa
le dimensioni delle bandiere: «Andranno ridotte di un po', vanno adeguate,
ma è questione di giorni» assicura il segretario provinciale della Lega
Nord, Bruno Ferraccioli. Ma insomma, che importa. Sfortuna a parte, il messaggio
è stato lanciato: Genova è la sua Croce rossa su sfondo bianco, non certo
GeNovaO4. E alla presenza del presidente del consiglio regionale,
Francesco Bruzzone, del senatore leghista Andrea Corrado, di Alessandro
Casareto e Franco Bampi, presidente e vice dell'associazione A Compagna.
La Lega Nord ha pagato le due bandiere 528 euro, e le ha donate
all'associazione Porta Soprana, rea di aver issato al loro posto le bandiere
di Genova 2004. Il dramma vero è che le bandiere hanno vita breve: due mesi
di vento e pioggia e tanti saluti. E che l'associazione non ha entrate
sufficienti a rinnovare i prestigiosi, e costosi, vessilli. «In 13 anni di
gestione, su cento bandiere che abbiamo dovuto cambiare il Comune ce ne ha
date solo sei, e non abbiamo neppure i soldi per modificare il cavo che le
tiene, e le rovina» lamenta il presidente, Agostino Caviglia.
E dire che persino il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi,
interpellato, ne ha regalato una: peccato fosse dell'Italia. Quando la
richiesta è arrivata alla società Genova 2004 il presidente, Davide
Viziano, avendo solo quelle a disposizione ha donato le contestate
bandiere rosse. «Ma ne ho già ordinato una di San Giorgio, nella speranza
che l'associazione voglia esporre su una torre la bandiera simbolo di
Genova, sull'altra quella simbolo del 2004, se la cosa non scandalizza
troppo».
Viziano e le bandiere:
«Ho scelto io il colore,
in onore a Luna rossa» |
A giudicare dai toni, c'è da credere che l'appello cadrà nel vuoto. La
parola del giorno è «effimera». La usa per primo Casareto, ma piace a
tutti: «Genova capitale europea della Cultura non può avere una bandiera
effimera a rappresentarla nei luoghi in cui devono essere esposti
i simboli istituzionali della propria storia». Effimera, ecco. Perché
«dura solo un anno», e certo non si può paragonare all'altra, che «da
oltre mille anni rappresenta la storia e la cultura del più grande
Stato nazione del mediterraneo, la repubblica marinara che alla
cultura del mediterraneo ha dato uno dei più grandi contributi di
civiltà». Toni aulici cui fanno eco quelli, polemici, della Lega: «È
difficile capire perché il Comune non garantisca, a titolo di contributo,
la fornitura di bandiere», pungola Ferraccioli.
La battaglia comunque continua. E a nulla vale l'invito di Viziano:
«Bisogna crescere, crescere, crescere, queste sono polemiche provinciali».
Il logo di GeNovaO4 resta rosso, e piace poco. «L'ho voluto io rosso, come
Luna Rossa e come il rosso cardinalizio, è da provinciali pensare solo
alle bandiere rosse del Pci», insiste Viziano. Sarà. Intanto però sulle
bandiere si è divisa la città.
Paola Setti
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