Due colonne sono rimaste intatte e appoggiano, una sull'altra, lungo il muro di cinta. Un po' più in là, alla destra del cancello arrugginito che segna l'ingresso della vecchia concimaia dei macelli di Ca' de' Pitta, sono accatastati altri cinque spezzoni di marmo. Per terra, invece, due capitelli affogano nel fango. Sono pezzi di arte e di storia. Dimenticati, forse da mezzo secolo. Adesso, a fargli da cornice, non ci sono chiese o monumenti, ma detriti, polvere di amianto e bidoni pieni di rifiuti. Le colonne possono provenire dal Carlo Felice bombardato, dall'ospedale monumentale di Pammatone (lo sostiene Clario Di Fabio, direttore del museo di Sant'Agostino). E c'è chi pensa che provengano dalla chiesa dell'Annunziata. Quel che è certo è che giacciono in un angolo buio della Val Bisagno. Cinque anni fa Giordano Bruschi (segretario provinciale di Rifondazione), allora consigliere di circoscrizione della Val Bisagno, aveva presentato una denuncia agli uffici comunali. «Ma la mia denuncia - spiega Bruschi - non è servita a nulla. Notai quelle colonne di marmo mentre stavo facendo un sopralluogo. Rimasi stupefatto e segnalai subito la loro esistenza agli uffici di Tursi ma forse al sindaco di allora, Adriano Sansa, persona da sempre sensibile all'arte e alla poesia, non glielo ha mai detto nessuno. Quelle colonne dimenticate sono il simbolo del degrado e dell'abbandono della vallata». Qualche mese fa, ad accorgersi delle colonne sono stati i ragazzi del Centro sociale Pinelli, appena hanno occupato l'ex macello. Erano coperte da una montagna di rovi e rifiuti. Incuriositi da quella pietra bianca che risplendeva sotto i detriti, i giovani si sono rimboccati le maniche e le hanno portate alla luce. Adesso, tutti i muri dell'ex macello sono coperti di scritte e graffiti. Ma è il marmo a risaltare in mezzo al grigiore del piazzale, su cui si affaccia il capannone della concimaia in disuso. All'ingresso degli ex macelli c'è un carrello di un supermercato, pieno di bottiglie di birra vuote. Altre sono sparse in terra. Vicino alle colonne di marmo, una stradina in discesa conduce alle cantine. Dentro alla cantina il buio è fitto. Dalle finestre filtra poca luce. Ma è più che sufficiente per notare altri bidoni in metallo, in mezzo alla stanza: sono arrugginiti, pieni, di chissà di cosa. Bisogna fare ancora qualche passo, prima di imbattersi in un cumulo di detriti: mattoni e mattonelle, vecchie piastrelle e tubi che sembrano di amianto. C'è di tutto. Nell'ex stalla c'è ancora della paglia. Presto anche questo stabile sarà recuperato dai privati. Sarà fatta pulizia, sarà sistemata la struttura. Chissà se qualcuno si accorgerà delle colonne. Claudio Caviglia
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