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Il Secolo XIX
Giovedì 13 aprile 2000
L'intervento
Pensiamoci due volte
a piazza De Ferrari
Francesco Tomasinelli*
Spero proprio di non aver frainteso il senso dell'articolo apparso sul
"Secolo XIX" di giovedì 6 aprile nel quale veniva illustrato il progetto
di sistemazione di piazza De Ferrari, opera del prof. Bernhard Winkler. Se così
non fosse Dio ce ne scampi e liberi!
Il noto urbanista non rientra più, per ragioni anagrafiche, nella schiera di
quei giovani, accesi di sacro fuoco, propensi ad apocalittiche mutazioni.
Egli è uno stimato professore bavarese di urbanistica con riconosciuta
specializzazione in materia di traffico veicolare, al quale mi riesce difficile
associare giudizi tanto stravaganti quali quelli attribuitigli nell'articolo
citato.
Qualora però quelle affermazioni trovassero conferma devo domandarne conto.
Come può infatti accadere che su di una realtà tanto complessa e composita come
quella in discussione si possano avanzare valutazioni tanto affrettate?
La modifica, anche la più minuta, di un contesto, per di più urbano, consolidato
dalla tradizione pretende, giocoforza, un suo inquadramento storico, il
riconoscimento delle sue origini, l'analisi delle sue qualità, siano esse positive
che negative, l'approfondimento dei suoi caratteri funzionali e formali ed infine
la formulazione di un giudizio circostanziato da motivi accettabili dalla maggioranza
degli individui. Credo che tutto ciò, peraltro, costituisca materia di insegnamento
da parte del professor Winkler ai suoi studenti (... o mi sbaglio?)
Devo, tuttavia, osservare che, dal tenore dell'illustrazione riportata, lo studio
è carente di alcune fondamentali informazioni.
Gli è stato spiegato, per esempio, quali riferimenti simbolici abbiano
rappresentato ed ancora rappresentino l'architettura ambientale prima e l'arredo,
poi, di questa piazza? O è stato a lui chiarito il ruolo ricoperto dall'autore
della fontana (Crosa di Vergagni) nel panorama dell'architettura cittadina?
Dati in mancanza dei quali risulta impossibile una soluzione progettuale che non
sia imprudente.
Non è consentito sottovalutare il portato della cultura di una città e ancor meno
sottostimare valori prodotti attraverso comportamenti di grande dignità, passando
sopra all'intelligenza, la passione e la professionalità di chi ci ha preceduto.
Confido che i genovesi sappiano resistere ad effimere tentazioni, esigere
rispetto per le proprie radici, anche le più recenti, stigmatizzare con la nota
ironia proposte che paiono dettate piuttosto da volontà autocelebrative che non da
concreta razionalità funzionale. Mi preme nel frangente richiamare la recente
riedizione, molto accurata, del celebre saggio di Mumford "La cultura delle
città" la cui prima apparizione risale al 1938, dove la strumentale antitesi
tra città medioevale e città barocca allude all'indissolubile legame fra
pianificazione e democrazia.
Non mi pare che in questo caso sia stato tratto un proficuo insegnamento dalla
lettura!!!
E' stata forse consultata la popolazione su una trasformazione così significativa
del cuore stesso della propria città? Forse non ne ho saputo nulla?
Ne derivo, allora, la conseguenza che l'ipotesi prospettata sia frutto di un'azione
demiurgica fondata su teutoniche (e proverbiali) certezze. Pure il giornalista Fazio,
per anni presidente regionale di Italia Nostra, nel corso della presentazione del
suo libro sui mostri cittadini, ha chiesto con forza che l'Amministrazione renda
note le iniziative di trasformazione della città. Aggiungo soltanto che ciò deve
avvenire prima e non dopo l'approvazione dei relativi progetti affinché la comunità
possa esprimere le proprie opinioni in proposito. La mia sorpresa maggiore sta nel
non aver riscontrato da parte di quelle associazioni votate alla protezione dei
beni comuni che per altri assai meno significativi interventi hanno innalzato
allarmate e vibranti proteste.
* Docente di Composizione architettonica
presso la Facoltà di Ingegneria di Genova
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