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Il Giornale
Sabato 26 ottobre 2002

La statua di De Ferrari sepolta nella rumenta

Arriva il 2004
ma da una vita
le statue restano
sepolte nei rifiuti

Statue, teste di leoni con catene, basamenti lavorati e cornici: c'è un tesoro in opere d'arte dimenticate nel magazzino comunale del servizio strade di San Quirico. Un magazzino chiuso da un grande cancello automatico in ferro dove, tra i dipendenti dell'Aster al lavoro, si intravede, per esempio, il monumento che Giulio Monteverde ha dedicato a Raffaele De Ferrari, duca di Galliera, uno dei più grandi benefattori di Genova. Una volta, prima della metropolitana, quella statua salutava Genova dalla stazione marittima. Ma era tredici anni fa.

CASTELLAZZO a pagina 47

   

PAOLA CASTELLAZZO

Un magazzino comunale come tanti altri. Circondato da una palizzata, chiuso da un grande cancello automatico in ferro, dipendenti dell'Aster al lavoro. Niente di straordinario, se non fosse che qui, nel magazzino comunale del servizio strade di San Quirico si trovano, abbandonate, opere d'arte preziose per la memoria storica della città.

Basamenti lavorati, cornici, teste di leoni con catene e monumenti esposti all'erosione delle intemperie e delle alluvioni, prive di protezione, abbandonate per terra.

Tra tutte spicca il monumento di Giulio Monteverde dedicato a Raffaele De Ferrari duca di Galliera, uno dei più grandi benefattori di Genova, che una volta, prima dei lavori della metropolitana, salutava i genovesi dalla stazione marittima.

Si trova lì da più di tredici anni.

Una statua di oltre sei metri d'altezza e tre di larghezza, composta da tre personaggi di grandi dimensioni, una donna che dispensa soldi, rappresentazione di Genova, Mercurio alato col caduceo, protettore dei commercianti, e un giovane duca, abbandonata al fango, alla muffa e al muschio.

Sepolta tra reti metalliche, tubature delle fognature, pietre e ruspe.

Seppellita, nel vero senso della parola, perché, ironia della sorte, al fianco giace, in una pozza d'acqua, la lastra in memoria datata 1876 «Al mare amico / il patrio commercio ebbe vita e fortuna / intese con sollecito cuore / la vasta magnificenza di Raffaele de Ferrari duca di Galliera / principe di Lucedio / ascoltando genio felice / superando i celebrati esempi degli avi». Di fianco una cassa marcescente di legno conserva i resti di pezzi della statua che il tempo ha staccato, simbolo triste di un disinteresse che dura da troppo tempo.

Pezzi di statue buttate dentro il magazzino [foto: Maccarini]

Un deposito
a cielo aperto
a San Quirico
da tredici anni
ospita tra tubi
di fognatura
e spazzatura
simboli antichi
della città

Un piede mozzato cementato sul basamento cilindrico fa bella mostra di sé poco distante, dimostrando come la statua sia stata tagliata via di metto dal suo piedistallo per essere rimossa più agevolmente.

E i dipendenti dell'Aster, che vedono questa bruttura tutti i giorni scuotono la testa e raccontano di essersi stupiti, in più occasioni, leggendo di restauri e di interventi in realtà mai avvenuti. «In compenso siamo stati ripresi dall'Igiene perché la presenza del monumento ci costringe a spostare parte del materiale un po' più avanti del consentito».

Ma a Tursi tutto tace, nonostante il 2004.

A confermarlo è Franco Bampi, segretario del M.I.L. «È una storia simbolo del disinteresse delle varie giunte comunali per la memoria storica della città. Nel marzo del 1994 feci un'interpellanza all'allora sindaco Sansa per sapere dove si trovasse questo monumento. Mi venne risposto che, dal 1989 era stato ricoverato nei magazzini di San Quirico. Nel maggio del 1997, visto che non era ancora cambiato nulla, portai in consiglio comunale un ordine del giorno che prevedeva il restauro e il recupero di alcuni dei monumenti simbolo della città che erano stati tolti dalla loro collocazione originaria e che l'amministrazione comunale aveva dimenticato, tra cui quello del De Ferrari».

Un ordine del giorno, approvato all'unanimità, da tutti i partiti politici, che resta ancora oggi disatteso.

Eppure basta affacciarsi dal ponte della Guardia Forestale, sul torrente Polcevera, per vederne il braccio sollevato al cielo, che sembra proprio protestare contro questa ingioriosa fine, mentre, poco più in là giacciono, in decine di casse di legno distrutte, le pietre dei moli di Cristoforo Colombo, trasportate lì con enorme dispendio di uomini e mezzi, (visto il peso e la quantità), e poi abbandonate in mezzo a spazzatura, frigoriferi, materassi e sterpaglie.

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