liguria@francobampi.it
[ Indietro ]
Arcobaleno
Lunedì 10 gennaio 2000
Una proposta alternativa per valorizzare la
storia della città
Bisogna investire sui monumenti
Suggerimenti innovativi per riscoprire gli avvenimenti
del capoluogo
A che cosa serve un monumento? E un’opera d’arte? Non certo
a soddisfare funzioni primarie dell’uomo e della società: non
leva la fame, non dà ricovero, non produce posti di lavoro (a meno
di non fabbricare monumenti in quantità industriale dopo aver
trovato un mecenate finanziatore). Siccome costa, il denaro
utilizzato per la sua realizzazione viene sottratto ad altri
impieghi. Tuttavia, da sempre, il monumento rappresenta quella
testimonianza concreta e durevole di esaltazione, a onore o a
ricordo di persone o di fatti, spesso realizzato come opera di
scultura o di architettura. Anzi, il sentimento associato a un
monumento è di tale forza che spesso un’opera d’arte di pregio
o rappresentativa di particolari valori culturali o morali è
definita essa stessa "monumento".
Dalla Storia apprendiamo che chi deteneva il potere ha ordinato
monumenti di tipo celebrativo. Per fare un esempio, alla fine del
XVI secolo, la nobiltà genovese, arricchita dai traffici economici
e finanziari incrementati dalla scoperta del Nuovo Mondo, volle
dare un segno esteriore della sua splendida grandezza fece costruire
Strada Nuova (poi Aurea e oggi Via Garibaldi). La bellezza di
quella architettura stupì persino il pittore fiammingo Pietro Paolo
Rubens che volle immortalare quei stupendi palazzi con il tratto
sicuro della sua penna. Più tardi, nel giugno 1797, le idee giacobine
stordirono alcuni genovesi: per la prima volta nella sua storia
millenaria Genova fu offesa dagli stessi genovesi: in piazza Acquaverde
si eresse un "Albero della Libertà" e si diedero alle fiamme la
portantina del Doge, la bussola del Seminario (che serviva per la
designazione a sorte del Doge) e il Libro d’Oro della Nobiltà.
Vennero inoltre demolite le grandi statue di Andrea e Gian Andrea
Doria.
Nonostante tutto, però, moltissimi sono i monumenti giunti fino
a noi. Come hanno potuto farlo? A mio avviso per due concomitanti motivi.
In primo luogo, più o meno fino alla Seconda Guerra Mondiale, la classe
di governo era tale per nascita e, quando vi era una componente elettiva
(come, ad es., nelle monarchie costituzionali), potevano essere elette
solo persone appartenenti a precise categorie sociali. Spesso, inoltre,
la nobiltà e la borghesia più ricca finanziavano di tasca loro alcuni
interventi inderogabili. Oggi, purtroppo, entrambe queste due condizioni
sono venute a mancare. Appena il famoso "Barchî de Pontexello" fu
collocato in Campetto (toponimo che non prevede la specificazione "piazza")
la mano di un vandalo vi tracciò la A degli anarchici; la facciata di
Palazzo Ducale su Piazza De Ferrari fu imbrattata con macchie di colore
rosso. La mancanza di valori e di quel senso di rispetto per ciò che è
lasciato alla pubblica attenzione sono concause che hanno contribuito a
far agire quei miseri devastatori.
Anche di recente, e con l’incitamento delle istituzioni di sinistra
della città, si è voluto vilipendere i nostri monumenti. Non dobbiamo
quindi meravigliarci se a Roma le folle orgiastiche sollecitate a
raggiungere la capitale dal sinistro Rutelli abbiamo compiuto atti di
vandalismo proprio sui monumenti. E tutto questo, si badi, è assolutamente
coerente con le pratiche irriverenti e devastatrici che i comunisti hanno
sempre riservato ai monumenti e ai palazzi che hanno trovato sulle loro
terre ben sapendo che il lordare monumenti e palazzi serve a privarli del
significato simbolico che essi evocano.
Se non ritroviamo il rispetto dei nostri simboli e non siamo in grado
di difenderli strenuamente perderemo non solo la memoria della nostra storia,
ma la ragione stessa di sentirci popolo e comunità.
A Genova, nella sagra dell’effimero e dell’improvvisazione, così bene
impersonata dal sindaco Pericu, abbiamo ascoltato che la Lanterna andrebbe
rimossa da simbolo di Genova, che il Museo Navale di Villa Doria va tolto
da Pegli, e che si rilancerà il centro storico creando nuove attrazioni
sul mare. Quando due giovani architetti, Renzo Piano e Richard Rogers
vinsero la gara internazionale per costruire quello che sarà il Centre
Culturel Georges Pompidou, ovvero il celeberrimo Beaubourg, il presidente
Pompidou disse loro: "Siete coscienti che questo edificio durerà 500
anni?"
Genova, devastata dalle costruzioni di San Benigno dagli scempi collinari,
da una metropolitana in perenne costruzione, da un incredibile sottopasso
e, non ultimo, dalla sbagliatissima scelta circa l’utilizzo dell’area
Fiumara, Genova, dicevo, quando troverà un amministratore capace di dire
quello che disse Pompidou? Io dico: mai, finché ci sarà la sinistra al
potere.
Franco Bampi
Genova, 5 gennaio 2000
[ Indietro ] |