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Arcobaleno
Sabato 6 novembre 1999
Quale statuto speciale per la Liguria?
Ho letto con interesse e con piacere il contributo scritto da
Mauro Cerulli e apparso sulle pagine savonesi
di "Arcobaleno" del 23 ottobre 1999. L’autore giustamente individua
nella richiesta dello statuto speciale anche per la regione Liguria
uno dei punti di forza di un possibile programma per il governo
regionale del prossimo lustro. Per comprendere tuttavia quale tipo
di statuto sia opportuno richiedere per la Liguria occorre fare
alcune considerazioni.
La Liguria fu una terra ricca e prospera, non per la generosità del
suo territorio, aspro e impervio, ma per la capacità tutta ligure di
"darsi da fare". Naviganti e corsari, commercianti e artigiani, nobiltà
e popolo, tutti assieme riuscirono ad inventare uno stato, la Repubblica
di Genova, che riducendo al minimo la burocrazia e l’ingerenza statale
nelle attività e nelle creatività dei privati consentì non solo ai
nobili genovesi, ma ai liguri tutti di essere un popolo ricco e florido.
Nonostante la mentalità medioevale creasse quelle tensioni, quelle
lotte e quelle congiure, di cui la nostra storia patria è costellata,
mai il popolo si ribellò al governo: il popolo e i nobili insorsero
sempre e solo contro l’oppressore straniero per difendere, fino
all’estremo, la libertà di una regione e dei suoi operosi abitanti.
Fu per la tenacia e la capacità di "darsi da fare" dei suoi abitanti
che la Liguria divenne la più grande potenza marinara del medioevo.
Fu per la superba invenzione, nel 1407 della Casa o Banco di San Giorgio,
istituzione libera dai vincoli della burocrazia, che la Liguria divenne
la piazza finanziaria più potente del mondo quando l’affermarsi dei
grandi stati nazionali impediva a una piccola regione ogni competizione
sul piano militare.
A fine del diciottesimo secolo, travolti dal ciclone napoleonico, i
Liguri lottarono duramente per la loro indipendenza. Il 9 ottobre 1796
stipularono una convenzione segreta con Napoleone, che tuttavia non
la rispettò, in cui si garantiva l’indipendenza a fronte del pagamento
di 4 milioni di lire. Quando il 22 maggio 1797 la "fronda giacobina
genovese" tentò un colpo di stato per consegnare la Liguria a Napoleone
il popolo dei camalli e dei carbonai insorse a difesa dell’antico
governo facendo fallire la congiura. Il 6 giugno 1797 il governo genovese
accettò, come male minore, la nascita della Repubblica Democratica Ligure
che fu autonoma rispetto a quella Cisalpina e Cispadana (in questo
Napoleone capì ciò che a Bossi non riesce: che la Liguria non è in
Padania!) Infine il 26 aprile 1814 il generale inglese Lord Bentinck
restaurò l’antico governo quale esisteva prima del 1797.
Il Congresso di Vienna, però, fu spietato con i Liguri. Puntuale e
pressante fu la difesa dell’indipendenza che Agostino Pareto, padre di
Lorenzo, fece nei confronti del Ministro degli esteri britannico, il
Visconte Castlereagh. Il Pareto dimostrò come la sussistenza di Genova
fosse il commercio di commissione che non doveva essere gravato da
soverchi dazi. Inoltre spiegò che gli interessi di Genova erano unicamente
marittimi e affatto diversi da quelli di un paese agricolo, ai quali gli
interessi liguri sarebbero sacrificati: Genova sarebbe condannata alla
più miserabile esistenza. Ma la sorte della Liguria era già decisa: il
giorno 7 gennaio 1815 la Liguria entrava a far parte del Regno Sardo
col nome di Ducato di Genova. Genova si ribellò ancora nell’aprile 1849,
rivolta che fu duramente repressa dai bersaglieri del generale La Marmora.
Infine, quando si votarono i plebisciti di annessione al Regno d’Italia,
la Liguria, formalmente già annessa, non fu chiamata a votare.
La storia, qui appena tratteggiata, insegna come la prosperità della
Liguria si sia basata sulla sua autonomia e indipendenza, sulla possibilità,
cioè, di decidere una forma statuale leggera, con burocrazia e
rappresentanze ridotte al minimo: esattamente ciò che serve oggi alla
Liguria per tornare ad essere una regione ricca e fiorente, come la
Svizzera o Singapore. Ed è proprio la storia di questa terra, con le
sue diversità e le sue peculiarità, che ci suggerisce quale sia la forma
di autonomia da chiedere per la Liguria. Deve essere come quella del
Trentino Alto Adige: là due, qui quattro province autonome che si riuniscono
per formare la Regione. Ma non dimentichiamo che per la rinascita della
Liguria bisogna ottenere che gran parte dei tributi, oggi ingoiati
dalla voracità statale, restino alla comunità ligure esattamente come
accade per il Trentino Alto Adige dove il 90% dei tributi resta a disposizione
delle province autonome. Solo così si avranno le risorse per creare quelle
infrastrutture indispensabili per il rilancio della Liguria e la cui
mancanza costituisce oggi il maggior impedimento per la crescita
dell'economia ligure.
Sono certo che il candidato del Polo e "oltre il Polo", Sandro Biasotti,
imprenditore di successo, non esiterà a riguardare queste richieste e
le loro basi storico culturali come un punto di forza del suo programma
elettorale e della sua attività di governo. Sperare non costa nulla,
conclude Cerulli: oggi abbiamo di più che una speranza.
Franco Bampi
Genova, 1 novembre 1999
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Arcobaleno
Sabato 23 ottobre 1999
Ha gli stessi diritti dell’Alto Adige, della
Val d’Aosta e della Venezia Giulia
Anche la Liguria a statuto speciale?
È l’unica regione a non aver votato, ed
approvato, l’annessione allo Stato sabaudo
Mauro Cerulli
SAVONA
Sostengono gli esperti di storia ligure che la nostra regione
è tra le più penalizzate tra quelle che hanno contribuito a formare
lo Stato unitario.
La Liguria è l’unica regione italiana a non aver votato ed approvato
attraverso un plebiscito l’annessione allo Stato sabaudo (come tutte
le altre), ma il suo destino è stato deciso con il Congresso di Vienna
del 1814-15 quando i potenti della terra, riuniti per ripristinare lo
status quo ante rivoluzione francese cancellarono con un tratto di
penna la secolare Repubblica di Genova e statuirono a tavolino che i
territori della Superba venissero assegnati ai Savoia al fine di creare
uno Stato cuscinetto di una certa consistenza tra la Francia e l’Impero
asburgico.
Non migliore fortuna ebbe la Liguria nel secondo dopoguerra: forse
perché da noi le spinte secessionistiche non erano forti, alla nostra
regione, pur essendo di confine come il Trentino o la Venezia Giulia o
la Valle d’Aosta, non venne riconosciuto lo status di "regione a statuto
speciale" (accordato anche alla Sicilia ed alla Sardegna per ragioni
che qui non è il caso di illustrare).
La piccola Liguria, con tutti i suoi problemi, venne quindi parificata
a regioni di ben altra levatura ed ampiezza territoriale e con il passare
degli anni la sua mancanza di una vera autonomia l’ha portata ad assumere
spesso il ruolo di Cenerentola.
Il declino delle industrie e la mancanza di una seria politica del
turismo (che ha fatto la fortuna della vicina Costa Azzurra) hanno fatto
precipitare la nostra regione, le cui province si trovano ai livelli più
alti di reddito pro capite, ad un agglomerato territoriale dove i giovani
sono costretti ad emigrare per mancanza di lavoro e dove la popolazione
invecchia inesorabilmente mentre il ricambio generazionale è oramai
assicurato per la gran parte da cittadini extracomunitari, con tutte le
tensioni che ne derivano.
Per fortuna qualcuno si è accorto che la situazione è giunta ad un punto
di non ritorno e che se non si muove qualcosa, anche a livello politico,
il declino della Liguria diventerà irreversibile. In vista delle prossime
elezioni regionali si è cominciato a parlare di trasformare la Liguria in
regione a statuto speciale al fine di dare ai suoi organi amministrativi
quell’autonomia decisionale che sola può rilanciare un territorio mal
governato a livello centrale e periferico.
Il fatto che nessun ligure sieda tra i banchi del governo (sulla sfortunata
parentesi di Burlando ai trasporti è meglio tacere) dimostra, se mai ce ne
fosse il bisogno, che anche a Roma la Liguria conta poco e che siamo considerati
poco più di una marca di frontiera. Le forze politiche che si candidano alla
guida della regione a cavallo tra il secondo e il terzo millennio, dal 2000
al 2005 e che hanno veramente a cuore il futuro della nostra regione e della
nostra gente meditino a lungo sulla proposta che qualcuno ha già gettato
sul tavolo della costruzione delle alleanze.
Una Liguria che abbia finalmente il modo di amministrarsi in maniera più
autonoma e possa anche finanziarsi direttamente con le imposte dei residenti
invece di attendere l’elemosina romana, ogni anno più scarsa, forse non arriverà
ad essere quel paese di Bengodi che sono la Valle d’Aosta e il Trentino ma
perlomeno potrà fare le sue scelte e i suoi amministratori potranno presentarsi
al giudizio degli elettori per quello che hanno fatto e non potranno più
trincerarsi dietro il comodo scudo di Roma per giustificare il loro cattivo
operato.
La Liguria non merita di fare la fine che sta facendo: in essa vi sono
alte potenzialità a livello turistico che non possono essere più sprecate.
Ricordiamocelo quando andremo a votare nella prossima primavera e vediamo
chi nel suo programma inserirà il progetto di trasformare la nostra regione
in ente a Statuto Speciale.
Sperare non costa nulla.
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