[ Indietro ] Il Blocco di Genovadi GIULIO MISCOSIIl generale Massena, detto poi dai genovesi Ammassa Zena, era arrivato in Genova il 9 Febbraio 1800 e fu ricevuto in trionfo con ovazioni. Prese stanza nel palazzo Doria presso S. Domenico (ora De Ferrari), oggi Sede del Banco di Roma, dove fino allora aveva avuto la sua residenza il Direttorio. Il generale Massena elesse per suo primo aiutante il genovese generale De Giovanni. Aveva alla difesa di Genova quindicimila soldati francesi contro 35 mila nemici. Nel marzo del 1800 cominciò il blocco dalla parte del mare. Le navi inglesi lo serrarono in modo che era impossibile introdurre viveri in città da questa parte. Da terra, Genova, era attorniata dalle truppe austriache, piemontesi e da una legione di liguri malcontenti ivi condotti dal capitano Assereto, savonese. Il 6 di aprile, domenica delle Palme, il blocco fu completo da terra e dal mare e durò sessanta giorni, cioè fino al 5 giugno. Le mirabili fortificazioni di Genova del 1633, fatte per vincere l'ambizione di Carlo Emanuele I di Savoia, servirono ottimamente contro qualunque assalto nemico. Anzi di tratto in tratto i francesi, con vigorosi attacchi, cercavano di rompere il blocco, vero cerchio di ferro, che nemici avevano posto intorno alla città, ma inutilmente. Erano troppo pochi e stremati dalla fatica e dalla fame. Una grande battaglia ebbe luogo il 30 aprile in Bisagno, sotto gli occhi dei cittadini che si affollavano sulle mura di S. Chiara e dello Zerbino per assistere al cruento spettacolo. La giornata fu splendida per i francesi che, pur essendo solo cinquemila, inflissero agli austriaci la perdita di settemila uomini tra prigionieri morti, e feriti. Ma il risultato, quanto a rompere il blocco, fu nullo. Il generale Massena rientrato in città alle 6 di sera fu oggetto di clamorosa ovazione. * * * Terribile fu il bombardamento su San Pier d'Arena la notte dell'8 maggio di quello stesso anno dovuto alle navi inglesi che, la notte seguente, bombardarono le colline di Albaro, colla mira di spaventare e sollevare contro Genova quelle popolazioni. Ma l'intento non riuscì anche se lo spavento fu grande e grave il danno. Il 17 maggio 1800, dalle due di notte all'alba, il bombardamento fu diretto contro la città ed i cittadini dovettero balzare da letto ed atterriti fuggire verso le parti più alte della città e più lontane dal mare. Più micidiale fu un altro bombardamento, cominciato all'una dopo mezzanotte del 21 maggio 1800, che durò due ore e molte bombe esplosero in città con danno e spavento dei cittadini. Altri due bombardamenti ebbero luogo nelle notti del 30 e 31 maggio di quell'anno. * * * Il generale Massena aveva ordine di tener salda la posizione fino a tutto maggio, sperando che, prima del termine di questo mese, mutassero le sorti della guerra. Ma l'evento aspettato non si vedeva e la città era agli estremi per la fame. Massena ritardò la resa ancora due giorni. Finalmente il 2 giugno aprì trattative col nemico ed il 4 conchiuse onorevole capitolazione che fu sottoscritta dinanzi alla cappelletta della Madonna sul ponte di Cornigliano. Se Massena, si diceva, avesse avuto notizia della discesa dalle Alpi di Napoleone, coll'armata di riserva forte di 84 mila soldati, avvenuta il 26 maggio, avrebbe risparmiata la capitolazione, ma l'obbiettivo era ormai riuscito, ed inoltre la mancanza di viveri era giunta al massimo. Comunque vinta da Napoleone la battaglia di Marengo il 14 giugno 1800 contro gli austriaci, fu convenuto che Genova fosse restituita ai francesi tra il 16 ed il 24 giugno. Anche questa volta i piemontesi ed i loro alleati savonesi dovettero rimandare la presa di Genova a tempi migliori. E fu la grande vittoria di Marengo a dar gloria a Napoleone, ma questa battaglia, dallo stesso Napoleone considerata perduta, fu vinta mediante il sacrificio dei genovesi che attirarono sulla loro città il grosso delle truppe austro-piemontesi. Così gli austriaci entrati in Genova il 4 giugno 1800 ne uscirono all'alba del 24 giugno, rientrandovi verso sera i francesi guidati dal generale Suchet. FAME E PESTE DURANTE IL BLOCCO DI GENOVA DEL 1800Guerra. - Della guerra già scrivemmo nel suddetto capitolo. Carestia. - La città di Genova aveva nel 1800 centoventimila abitanti e 15 mila soldati francesi racchiusi tra le sue seicentesche mura che dalla Lanterna giungevano al Peraldo (Forte Sperone) e poi, discendendo ad angolo acuto, cerchiavano la città fino alla Spianata del Bisagno arrivando poi al mare (Mura Cappuccine). La carestia si era fatta sentire anche prima del blocco, cioè fin dal gennaio del 1800 (dicesi per isbaglio fatto dal Governo nell'incetta del grano). Detto Governo aveva obbligato chiunque introducesse grano in città a venderlo allo Stato e non ai privati ed al prezzo fissato dal Governo medesimo. Ne conseguiva che molti venditori, non trovando conveniente venderlo al Governo, si astenevano dall'introdurlo, con grave danno alla popolazione. Il grano si depositava nei grandi magazzini dell'Annona, che erano dove oggidì è la via Andrea Doria e che furono demoliti poi nel 1850. Come dicemmo il sistema autoritario allontanò i negozianti e la provvista si ridusse in febbraio a così scarsa misura che distribuivansi ogni giorno due sole once di pane per cittadino; più tardi, finché si lasciò libera la vendita del pane, la razione si ridusse ad un'oncia. Il comandante della piazza, generale De-Giovanni, per sgravare la città da molte bocche inutili fece partire i non genovesi, inviandoli in Francia, dove si facevano reclute di nuove truppe. Pure di tratto in tratto qualche soccorso arrivava in città dal di fuori, dalla parte di terra. Ma il mare era tutto bloccato dagli inglesi ed è dal mare che Genova aveva ed ha le sue risorse migliori. La condizione si aggravò quando il 6 aprile il blocco fu completo da mare e da terra. Allora distribuivasi un'oncia sola di pane al giorno a testa e, per averla, bisognava perdere molte ore alla porta dei luoghi dove avveniva la distribuzione. E questa situazione durò sessanta giorni, almeno per i poveri. L'undici maggio avendo fatta i francesi una sortita dal lato di levante e respinti momentaneamente gli austriaci fino a Recco poterono introdurre in città uova, erbaggi, qualche pollo ed alcuni vitelli; ben scarsa provvigione per tanta gente con tanto bisogno. Ma nei tre giorni successivi mancò totalmente il pane avendolo nascosto chi l'aveva in seguito a tristi notizie di guerra da poco arrivate. Il Governo dovette invadere con la forza armata i fondachi dei venditori e finì col permettere ai medesimi la libera vendita. Essi se ne approfittarono per aumentare il prezzo dei generi di prima necessità non potendo prevedere quanto tempo sarebbe durato il blocco. I ricchi compravano con grande dispendio, ma i poveri morivano di fame. Il 18 maggio il generale Massena fece distribuire dai parroci agli indigenti denaro bastante a sfamarsi per due giorni. Il giorno 20, Massena ed il Governo, deliberarono di assegnare fino al termine dell'assedio, che doveva durare ancora almeno dieci giorni, sedici soldi genovesi al giorno (centesimi 64) ad ogni capo famiglia e soldi dieci (centesimi 40) ad ogni individuo. A tale assegnazione dovevano contribuire i ricchi cittadini, proporzionalmente alle loro sostanze. Minestre e carne d'asino e di cane. - Procurò anche, il Governo, che nei diversi quartieri della città si vendessero minestre a modico prezzo nelle quali, in mancanza di legumi, si mettevano erbe farmaceutiche come malva, altea e simili. La truppa cibavasi di formaggi e carne di cavallo. I cittadini poi stimavansi beati di poter avere la carne di cavallo e si adattarono, comunque, a mangiare quella di asino, cane e gatto. Prezzi dei viveri. - A compiere il quadro dell'orribile flagello della fame, trascriveremo: «Il pane, che vendevasi in dettaglio, salì al prezzo di lire 16 alla libbra di 12 once. Il grano, venduto al dettaglio, era salito al prezzo di lire 210 al rubbo, che fa libbre 25 da once 12. La farina di granoturco (polenta) a lire 48 al rubbo. Il riso era salito fino a lire otto la libbra. La carne di vitella, che si ebbe fino al dì undici, fu pagata in quel giorno lire tre la libbra. La carne di vacca lire due e soldi dieci. Le uova non mancarono mai, ma si pagavano, sul finire, 22 soldi l'una. I polli si ebbero a dodici lire l'uno. I salati mancarono fin dal principio, ma se ne trovarono sul finire del blocco e si pagarono lire tre la libbra. Gli erbaggi e i frutti andarono di giorno in giorno aumentando. Le ciliegie, nate entro le mura, salirono ad una lira la libbra. Il latte che si ebbe fino al 6 maggio, era giunto a 22 soldi « l'amola ». Aggiungeremo aver sentito dire dai nostri bisnonni che la carne di cavallo fu pagata 14 lire la libbra; che la povera gente andava in cerca di topi e veniva alle mani per impossessarsene, e che parecchi morirono di fame. La fame cessò con la capitolazione segnata il 4 giugno 1800. Peste. - Conseguenza della guerra, e più grave della fame, suole essere la pestilenza. Una contagiosa malattia epidemica, cominciata a Nizza Marittima, si diffuse per la riviera occidentale ed infine penetrò in città ed uccise, dall'aprile a tutto settembre, 8414 persone. Il periodo più acuto si ebbe alla metà di luglio, cioè quando i morti arrivarono ad un centinaio al giorno. Eppure il blocco era cessato e col blocco la fame e molti cittadini erano usciti da Genova. Ecco la progressione settimanale dei defunti :
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