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Il Lavoro - la Repubblica
Sabato 17 maggio 1997
La curiosità
Duecento anni fa cadeva la Repubblica 'Ricordiamolo'
di PIERO PASTORINO
Duecento anni fa cadeva la repubblica di Genova. Franco Bampi,
consigliere comunale ex leghista e oggi di Forza Italia, ne ha
tratto motivo (magari anche a fini elettorali) per appellarsi, con
una mozione presentata dai banchi della sala rossa di Tursi alle
autorità civili perché la ricorrenza non sia dimenticata. In tale
senso, egli chiede di proseguire la mostra di Van Dyck a tutto
agosto, meglio ancora fino a settembre; di ricollocare al Ducale
le statue decapitate di Andrea Doria e di Gian Andrea Doria, demolite
nel 1797, i cui «torsi» pare siano in Sant'Agostino; di predisporre
una targa commemorativa al piede delle due statue per ricordare la
riforma costituzionale dell'ordinamento della repubblica, le
cosiddette Leges Novae del 1576; di porre una lapide muraria, previo
consenso della Curia, in san Lorenzo a memoria delle citate Leges
Novae; di affiggere un manifesto in città per revocare la grandezza
della Repubblica; di esporre per tutto giugno a Tursi la bandiera
di Genova a mezz'asta; di listare a lutto sempre nello stesso
mese la bandiera di Genova che sventola sopra la torre di Palazzo
Ducale. Il predominio della Superba, prevalentemente marinaro, si
afferma in era medievale e nel Trecento si può considerare pressoché
esaurito. Ma la città vivrà una intensa vita mercantile grazie
alle «teste di ponte» che aveva stabilito sull'Egeo e in Medio
Oriente. Soffocata la minaccia pisana, avrà in Venezia la più
tenace avversaria sul Mediterraneo. Un momento di gloria a livello
internazionale troverà nel periodo delle crociate in Terrasanta.
La scoperta del Nuovo Mondo, proprio a opera di un suo figlio,
segnerà pesantemente il suo declino. Potenza senza territorio,
Genova si appoggerà man mano a quegli Stati che le garantiranno
buoni affari. È un ritorno in grande stile sullo scenario della
intricatissima politica europea e sarà ago della bilancia economica,
in particolare di quella spagnola. Con il Doria, acutissimo
diplomatico e uomo parimenti disinvolto e ambiguo, la Repubblica
si darà un nuovo assetto costituzionale. Nel 1576 la riforma viene
giurata solennemente in San Lorenzo. Sarà un governo oligarchico
con un potere esecutivo affidato a 120 ministri, costituenti il
Seminario, dai quali ogni sei mesi verranno estratti a sorte (di
qui la nascita del gioco del seminario, oggi gioco del lotto)
tre governatori e due procuratori. Il decadere degli eletti dalla
carica, li obbligherà al giudizio dei Supremi Sindacatori. A
questi era d'uso indirizzare i «biglietti di calice», posto in
una buca ancora visibile al Ducale, con proteste e segnalazioni
e denuncie, spesso anonime, dei cittadini. Due secoli dopo, nel
1797, con Napoleone in Italia, anche a Genova si diffondono le
idee giacobine. Ma il 21 maggio dello stesso anno scoppia in città
una controrivoluzione popolare e scorre sangue al grido di «Viva
Maria (è la patrona della città), morte ai Giacobini». Il Bonaparte
non gradisce questi tumulti e il 5 giugno a Monbello Monferrato
stipula con una deputazione genovese, composta da Luigi Carbonara,
Michelangelo Cambiaso, e Girolamo Serra, la convenzione sul nuovo
ordinamento della Repubblica. Il 14 giugno ha luogo la prima
seduta del sedicente (nonché provvisorio) governo democratico.
È la fine.
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