DOPO GLI ATTENTATI L'OFFENSIVA POLITICA.
IL GOVERNO AUTONOMO CHIEDE ASSOLUTA INDIPENDENZA
La proposta-bomba dei baschi: via dalla Spagna
MADRID
Dopo gli attentati anti-turistici dei terroristi dell'Eta a Benidorm ed
Alicante dell'altro giorno, anche il governo indipendentista basco ha
cominciato la sua «campagna estiva». E i suoi obiettivi non sono meno
dirompenti delle valigie-bomba degli «etarra» contro gli hotel: la
creazione della Regione libera associata di Euskadi, una proposta eversiva
che attenta all'unità della Spagna sancita nella Costituzione del '78 e
approvata dal 53% dei baschi nel referendum di 25 anni fa.
Governo popolare e opposizione socialista sparano a zero contro il diktat
dell'Esecutivo di Vitoria. Ma la situazione precipita sempre di più. Il
documento elaborato dal governo tripartito regionale (nazionalisti
cattolici del pnv, centristi di ea e comunisti di eb, in tutto 36 seggi
sui 75 totali) che presiede dal '99 l'economista Juan José Ibarretxe, 46
anni, era già stato annunciato nel settembre scorso. Ma la grave crisi
istituzionale che oppone da giugno il governo centrale del premier
popolare José Marìa Aznar e quello di Vitoria, che rifiuta di sciogliere
«Sozialistas Aberzaleak», l'ultima incarnazione dell'illegale partito
politico dell'Eta Batasuna (il 10% dei voti nelle regionali del 2001 e 7
seggi nel parlamentino) aveva consigliato ai separatisti non violenti di
lasciarlo nel cassetto.
Ma qualcuno l'ha passato ai giornali del gruppo basco «El
Correo». E la carica è esplosa violentissima, anche perché i Paesi Baschi
spagnoli godono già della più ampia autonomia in Europa grazie allo
statuto speciale di Guernica del '79 che permette loro di usare come
co-ufficiale la lingua euskara e gestire sanità, istruzione, forze
dell'ordine e parte delle imposte. Il piano di Ibarretxe, dirigente di
spicco del pnv (il partito da cui nacque l'Eta nel 58) è articolato in 69
articoli. E parte da un preambolo che è da sempre il cavallo di battaglia
dei terroristi: «Il popolo basco è depositario di un patrimonio storico e
culturale che appartiene ai cittadini delle tre province basche, delle tre
francesi e alla Navarra e ha il diritto di decidere il suo futuro».
Nei vari articoli di un progetto che «El Mundo» ha definito delirante, la
Regione libera associata di Euskadi, oltre a sospendere lo statuto
speciale, si arroga tutti i poteri, dal legislativo alla rappresentanza
all'estero (Consiglio Europeo compreso), tranne quelli della Difesa. Per
negoziare il diktat, è concesso un tempo massimo di 6 mesi. Se non si
raggiunge un accordo con Madrid, il governo di Vitoria convocherà un
referendum. Che, però, sarebbe pure questo illegale in quanto, per poterlo
convocare, è imprescindibile l'ok dell'Esecutivo centrale e del
parlamento.
«Il progetto indipendentista di Ibarretxe ha zero possibilità
di prosperare ed è una sciocchezza. In Spagna le regole si rispettano», ha
commentato indignato Aznar (il cui nonno era basco, come il suo cognome
dimostra). Anche il segretario regionale socialista Patxi López ha
stigmatizzato: «Ibarretxe tradisce lo statuto speciale e vuole spaccare
la Spagna». Il partito dell'Eta, dal canto suo, critica timidamente il
piano perché non prospetta subito la riunificazione dell'intera «Patria
Basca».
Popolari e socialisti, insieme 32 seggi a Vitoria, non possono far
nulla per stoppare Ibarretxe, che governa in minoranza grazie all'astensione
degli «etarras» in doppio petto. Se, come è più che probabile,
verrà convocato un referendum, l'unica via d'uscita possibile è
applicare l'articolo 155 della Magna Carta e sospendere l'Esecutivo
separatista. Col rischio (reale) di trasformare Euskadi in un altro Kosovo.
Gian Antonio Orighi
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