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Domenica 24 ottobre 2004

Case da gioco, alberghi, centri commerciali: la Nazione indiana si riscatta dalla miseria in cui l'avevano gettata i bianchi. E ora ha persino un suo museo

La scommessa degli Indiani

Da poveri che erano sono diventati ricchi grazie al gioco d'azzardo. E sono cresciuti di nuemro: dai 250.000 degli inizi del XX secolo agli oltre quattro milioni di oggi.

Washington

Cercate gli indiani d'America? Seguite la pista dei soldi. Chi dice indiano metropolitano, negli Stati Uniti, non dà a queste parole il senso che hanno in Italia. Nei quartieri residenziali di New York, Chicago, Los Angeles vi sono "uomini rossi" con reddito superiore ai bianchi. Un fiume di dollari, che ha le sorgenti nelle case da gioco autorizzate dalla Corte Suprema nel 1987, ha irrigato le riserve dove vagavano i bufali.

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Il tappeto verde ha sostituito il verde dei pascoli e ha generato un miracolo economico. Dove regnavano disoccupazione e alcolismo vi sono industrie, alberghi, centri commerciali, scuole e servizi sociali modello. Un segno della potenza raggiunta è stato il dibattito a Miami tra il presidente George Bush e il candidato democratico John Kerry, finanziato dalla tribù dei Miccosukee. Nel XIX secolo questi Seminole si rifugiarono nelle paludi della Florida per sfuggire alla deportazione in Oklahoma cui li aveva destinati il Governo di Washington. Emersero dopo il 1950, e nel 1972 vennero riconosciuti come nazione sovrana nell'ambito del sistema federale americano. Oggi la Miccosukee Corporation ricava decine di milioni di dollari l'anno dal turismo. Ma non è così per tutti. Nelle riserve dei Lakota, che i bianchi chiamano Sioux, si avvertono ancora le conseguenze catastrofiche delle atrocità compiute in nome del "destino manifesto" che spingeva i coloni alla conquista del West: guerre, trattati calpestati, distruzione delle risorse naturali, annientamento della cultura e della lingua degli "uomini rossi".

Tra il 1887eil 1934 gli indiani vennero espropriati di 50 milioni di ettari, due terzi delle loro terre, e condannati a un'esistenza miserabile. Ancora oggi nelle tribù del West decimate dalle epidemie vi è un numero spaventosamente alto di suicidi, e al flagello dell'alcolismo si è aggiunto quello della droga. Ma il vento della ripresa soffia sulle praterie. Spiega Joseph Kalt, direttore di un progetto dell'Università di Harvard per lo sviluppo economico degli indiani d'America: «La rinascita non è uniforme, ma per la prima volta si affrontano e risolvono problemi considerati insolubili per molto tempo».

Negli ultimi trent'anni la mortalità infantile è diminuita del 60 per cento, la tubercolosi dell'80, le morti di parto del 70. Sanità e istruzione hanno fatto passi da gigante. Una classe dirigente preparata e dinamica ha sostituito i notabili inefficienti e corrotti. «il nostro popolo ha ritrovato l'orgoglio e la fiducia in sé stesso», dice Joe McDonald, capo dei Piedi Neri del Montana, fondatore e presidente di una delle 35 università sorte nei territori indiani dopo il 1970.

Proprietari di una banca

Nel 1971, i Patawatomi dell'Oklahoma avevano 550 dollari in banca e un capo ubriacone che imponeva la sua volontà a bastonate. Oggi sono proprietari della banca dove hanno depositato 120 milioni di dollari e di varie aziende con un fatturato di 300 milioni di dollari l'anno. Nel 1987 la Corte Suprema ha deciso che gli indiani, in quanto nazione sovrana, non sono vincolati dalla legge che vieta il gioco d'azzardo in quasi tutti i 50 Stati dell'Unione. È sorta così una costellazione di case da gioco che forniscono un profitto di 14 miliardi di dollari l'anno, esenti da tasse, e impiegano 400.000 persone, tra cui 100.000 indiani. Questa è la ragione principale della prosperità, ma non è l'unica. Se nelle tribù che gestiscono i casinò il reddito pro-capite è aumentato del 27 per cento negli anni '90, nelle altre è aumentato ancora di più, del 29 per cento.

I Choctaws del Mississippi, per esempio, hanno aperto al gioco d'azzardo solo dopo essersi arricchiti in altri modi. Sono proprietari di industrie tessili e meccaniche che hanno assorbito tutta la mano d'opera della tribù, oltre a 8.000 bianchi. La piccola tribù degli Oneida, nello Stato di New York, è composta di mille persone, che 10 anni fa erano accampate in vecchie roulotte su 15 ettari di terreno. In settembre ha regalato 10 milioni di dollari al museo della civiltà indiana inaugurato a Washington. Può permetterselo. È proprietaria di un casinò che inietta 311 milioni di dollari l'anno nell'economia dello Stato.

 
 

Una vecchia immagine del mitico capo Apache Geronimo

Con i profitti la tribù ha comprato 8.000 ettari di terreno e aperto quattro campi da golf, 11 ristoranti, tre alberghi di lusso, uno stabilimento termale, un palazzo dei congressi e un teatro con 800 posti, dove si esibisce Liza Minnelli. Dopo aver dato una casa a ogni famiglia e una borsa di studio a ogni giovane, gli amministratori avevano ancora tanto denaro da investire che hanno aperto due fabbriche e una catena di distributori di benzina. Per diffondere la cultura degli avi hanno acquistato uno studio cinematografico a Hollywood e pubblicano un giornale diffuso in tutti i territori indiani. Il segnale della riscossa fu l'occupazione del ministero degli Interni a Washington nel 1972.

Una nazione di 562 tribù

Il presidente Nixon, alle prese con lo scandalo Watergate, dovette cedere. Firmò il decreto per l'autogoverno delle tribù, confermato tre anni dopo da una legge federale. Cominciò così una trasformazione paragonabile a quella dell'Europa dell'Est dopo il crollo del Muro di Berlino. Milioni di indiani rivendicarono le origini dimenticate.

La nazione indiana è aumentata da 250.000 persone agli inizi del XX secolo ai 4,3 milioni dell'ultimo censimento. È una nazione eterogenea, composta da ben 562 diverse tribù.

«Tra la mia gente e gli Apache vi è una differenza grande come quella che esiste tra i tedeschi e i turchi», sottolinea John Barrett, presidente dei Patawatomi. Eppure, forse per la prima volta, questa nazione si sente unita e guarda con fiducia al futuro.

Bruno Marolo

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