La dinastia sott'aceto
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Il Giornale Mercoledì 20 novembre 2002

CASA SAVOIA

La dinastia sott'aceto

Marcello Veneziani

Dopo lunghi anni di penosa controversia il 10 novembre scorso l'Italia mormorò: Avanti Savoia. Ma non è entrato nessuno. Per ragioni sportive i Savoia non erano pronti al rientro; infortuni e attività agonistiche hanno rinviato la rimpatriata. Avevamo litigato per sostenere la causa del loro rientro e per scagionarli da indebite eredità colpose; gli italiani erano in larga parte favorevoli a riaverli a casa, i monarchici erano eccitati per la causa e sognavano dispute sul trono; si discuteva se sarebbe stato meglio per loro partire da Teano o da Roma, da Napoli o da Redipiglia. Ma nel giorno fatale nessun reale si è presentato nella sospirata patria. In compenso ci hanno mandato un video che non è propriamente un messaggio reale: un elogio del cetriolo da parte del principe Emanuele Filiberto. Passare dalla storia alla pubblicità, dal trono alle cipolline, non è un segno di progresso per i Savoia. Sì lo so, hanno precostituito un astuto e rispettabile alibi, dicendo che il ricavato dello spot pubblicitario andrà ad una fondazione Veneziana di scambi culturali. Però lasciatemi dire una cosa: noblesse oblige, signori Savoia, ad un principe che discende della Casa che unificò l'Italia e ad una famiglia reale che torna in Italia dopo più di mezzo secolo, tra mille controversie, non sta bene tornare in patria in una confezione di sottaceti. Usare per giunta uno slogan così, «Se vuoi sentirti un re, c'è Saclà», è una simpatica battuta per l'azienda che fa pubblicità ai suoi prodotti ma non per la famiglia reale che diventa caricatura di se stessa. È come se la pubblicità sul caffè con San Pietro fosse interpretata dal Papa in persona; o la pubblicità dell'omonima bevanda dal cardinale Martini («No Martini, no messa»). Vedere poi l'immagine del principe olivista (nel senso che mangia olive}, non è incoraggiante per un Paese che sembra rivivere la sua storia nella dimensione della farsa. Avremo Vittorio Emanuele che pubblicizza i savoiardi; la principessa che reclamizza i biscotti Doria, e l'intera famiglia che sponsorizza le confezioni di pappa reale?

Ho il timore che la battaglia di principio e di libertà che li riporta in Italia possa snaturarsi in un'occasione piccina d'affari e peperoni. Mi inquieta, ad esempio, sentire Vittorio Emanuele auspicare che l'Italia gli affidi un incarico di mediatore di affari all'estero. Sia perché vedo il blasone della dinastia che ha unito l'Italia ridursi ad un marchio pubblicitario; sia perché vedo in questa proposta l'intenzione dei Savoia di continuare a vivere fuori d'Italia. Non vorrei che tutta la battaglia per farli rientrare si riducesse ad un'opportunità turistico-commerciale di venire in Italia quel tanto che basta per far notizia e per portare all'incasso qualche buon affare. Sarebbe surreale se dopo aver pianto l'esilio i Savoia decidessero di restare a vivere all'estero, salvo alcune gite da noi, una festa da Briatore e una puntata da Chiambretti, una partita della Juve e una battuta di caccia, uno spot di cetrioli e un contratto di elicotteri.

Avendo queste preoccupazioni ho in mente un'idea perversa. Proporrei di ripristinare la 13° disposizione transitoria della Costituzione ma in senso inverso, ovvero impedendo ai Savoia di espatriare. I Savoia riacquistano tutti i diritti di cittadinanza sul territorio nazionale eccetto uno, la possibilità di emigrare o di risiedere altrove. In quel caso, perdono la cittadinanza italiana. È la stessa logica dei premi letterari; se non vai a ritirarli di persona decadi, il premio è vincolato alla presenza del premiato. La proposta ha una buccia folle ma una polpa sensata. Non nasce dal gusto borbonico di fare ammuina, Ma da ragioni più serie. In primo luogo perché le loro colpe e i loro meriti ereditari riguardano strettamente l'Italia ed è qui che devono scontare la loro pena o godere la loro fama. I panni sporchi si lavano in famiglia, o se preferite i gioielli di famiglia non si regalano agli estranei: siano essi un orgoglio nazionale o una vergogna, ce li meritiamo noi e ce li dobbiamo godere e sorbire noi, in santa autarchia. Insomma i Savoia sono cosa nostra, croce e delizia nazionale. Se sono impresentabili e un po' ridicoli, come dicono i loro detrattori, a maggior ragione: non mandiamoli in giro per il mondo come simboli del made in Italy; teniamoli in casa. E se amano davvero il nostro paese e se sospiravano davvero il loro rientro, allora devono giurare solennemente non sulla Costituzione (evitate queste farse, per favore) ma sulla nazione che non la lasceranno più. Italiani for ever. Via la casa di Ginevra, la residenza in Belgio e la barca in Corsica; si vive a Napoli o Torino e si fa il bagno a Sabaudia o a Margherita di Savoia. È la prova d'amore {amor patrio} che chiediamo loro. E poi, tutti i Paesi hanno un re in carica o di scorta; lasciatecene una piccola provvista anche da noi, non solo per far godere il gossip e le tirature dei settimanali. Sarebbe bello se diventassero simboli discreti di una tradizione, testimonial impolitici non di cetrioli ma di una storia e di un sentimento. Se loro non ci stanno e preferiscono restare testimonial frou frou di mondanità e sottaceti, allora rimpiazziamoli con Amedeo d'Aosta, che mi pare una persona seria (leggete per esempio il suo libro-intervista a cura di Fabio Torriero, «Proposta per l'Italia»).

Fuori dal paradosso, lasciatemi dire una piccola amarezza: questi discendenti non mi ricordano né le leggi razziali né l'unità d'Italia, non evocano né la storia patria né gli errori della dinastia. Io che non ho alcuna pregiudiziale antimonarchica e alcuna antipatia verso i Savoia devo amaramente ammettere che i due emanueli sono la principale obiezione contro l'istituto monarchico. Non sono di pasta reale, non si muovono da principi ma da principianti. Ogni volta che li vedo e che li sento mi scopro per metà repubblicano e per metà asburgico e borbonico.

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