Gesine Doria Pamphilj racconta perché è contraria al
rientro di Vittorio Emanuele in Italia
«Un Savoia nel mio palazzo?
Nell'orario e se paga il biglietto»
Genova. La principessa Gesine Doria Pamphilj, proprietaria col fratello
Jonathan del Palazzo Fassolo, a Principe, è l'erede del grande casato che ha dato
lustro alla Repubblica di Genova.
Principessa, anche lei come la gran parte della nobiltà italiana ha salutato
a champagne la riammissione in Italia degli eredi maschi di Casa Savoia?
«Per niente. Si sono comportati così male... Non vedo perché dovessero rientrare
a tutti i costi. Visto che si è deciso diversamente, che tornino pure, purché non
si parli più di loro. Ci sono cose più importanti di cui occuparsi».
La famiglia Doria Pamphilj ha avuto problemi diretti con Casa Savoia?
«Mio nonno, Filippo Andrea VI, nei primi anni Trenta scrisse una lettera al re
Vittorio Emanuele III, mettendolo in guardia dal duce. Stai attento, Mussolini sta
avviando il Paese alla rovina - gli scrisse - e potrebbe defenestrarti con un colpo
di Stato. Per tutta risposta il re, che conosceva molto bene mio nonno, consegnò la
lettera a Mussolini il quale decise di spedirlo al confino al sud.Ci rimase per
anni, combattendo con gravi problemi di salute. Alla fine mia madre riuscì ad
ottenere per lui gli arresti domiciliari in una casa ella salute».
I problemi tra Doria e Savoia in realtà nacquero molto prima, no?
«Sì, ai tempi dell'Unità d'Italia. Questa è una storia genovese. I Savoia
inizialmente sembravano decisi a fissare la loro residenza nel nostro palazzo di
famiglia, (il Palazzo Fassolo, oggi di fronte alla stazione Marittima, ndr).
Senonché il mio antenato, Filippo Andrea V, non intendeva vendere il palazzo, così
propose a re Vittorio Emanuele II di prenderlo in affitto, lui si sarebbe impegnato
ad eseguire il restauro. Il re si era intestardito e finì per acquistare il palazzo
reale. La mia famiglia gli intentò una causa per danni che ovviamente perdette».
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Gesine Doria
Pamphilij |
A Genova,città di origine del suo casato, la monarchia non è mai stata
popolare.
«Mio nonno e mia madre al Referendum istituzionale del '46 votarono repubblicano.
Erano perfettamente consapevoli che la monarchia avrebbe perduto. Eppure la
Repubblica segnava la fine dei titoli nobiliari. Ma sia mia madre che mio nonno
hanno sempre guardato più agli interessi del Paese che ai vantaggi di famiglia».
Lei sa che Vittorio Emanuele II, non ancora padre della Patria, nel 1849 inviò
a Genova i bersaglieri di Lamarmora a domare la rivolta antimonarchica. I fanti
piumati si presentarono a cannonate, provocando centinaia di morti tra la popolazione
civile, stuprando donne e saccheggiando case e botteghe. Oggi il Movimento
Indipendentista ligure chiede 70 mila miliardi di vecchie lire di indennizzo
all'attuale Vittorio Emanuele. Che ne dice?
«Ricordo un'intervista di qualche anno fa, di solito evito di occuparmi dei Savoia.
Ebbene alla domanda se si sentisse in dovere di fare delle scuse agli italiani per
le leggi razziali avallate da suo nonno, Vittorio Emanuele III, e per la fuga da
Roma dopo l'8 settembre, il principe si stupì: "È roba che ha deciso mio nonno,
che c'entro io?" Capito?».
Mai avuto accasione di frequentarlo?
«No, mai. Qualche tempo fa la moglie, Marina Doria che con noi fortunatamente non
ha nulla a spartire, è venuta a Roma e si è rivolta a mia madre: domandava se poteva
visitare la nostra galleria. La risposta di mia madre è stata: la galleria oggi è
chiusa, domani è aperta nei seguenti orari. Se vuole, venga e paghi il biglietto
come tutti gli altri».
Viste le premesse possiamo escludere un invito a palazzo Doria Pamphilj per
Vittorio Emanuele, il quale ha espresso il desiderio di visitare Genova, città che
non conosce
«Escludiamolo completamente. Potrà anche lui visitare il palazzo in orario di
apertura, pagandosi il biglietto».
Da quel che sente la nobiltà romana sta apprestando festeggiamenti per l'esule
rientrato in atria?
«Qualche mio amico molto monarchico è effettivamente molto interessato, ma la
maggior parte non si occupa dell'argomento. E credo sia così in tutto il Paese. Se
n'è parlato anche troppo, sulla testa della gente, complessivamente indifferente al
problema. So che qualcuno farà salti i gioia. Ma sarà la media e l'alta borghesia
più che l'aristocrazia».
La nobiltà nera romana è rimasta legata al Papa e ostile ai Savoia come dopo
la breccia di Porta Pia?
«L'aristocrazia nera effettivamente resiste...».
Tipo i Pallavicini?
«I Pallavicini più che monarchici sono di sentimenti fascisti. La principessa
Pallavicini è molto amica di Gianfranco Fini».
Al Referendum del 2 giugno 1946 lei come avrebbe votato?
«Repubblica, senza dubbio. Anche se la Repubblica ha dei problemi almeno rimane la
speranza di poter sostituire un certo personale politico».
Renzo Parodi
parodi@ilsecoloxix.it
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