MA A STRASBURGO E' APERTA UNA CAUSA
I Savoia: mai chiesto
dei benefit all'Italia
ROMA
Benefit, ovverossia auto blu, scorte, dimore e finanche un aereo di Stato,
oppure un risarcimento? Apparentemente è ancora buio fitto intorno alle
richieste avanzate dai Savoia alla vigilia del loro rientro in Italia,
richieste di cui si sarebbe parlato ieri in Consiglio dei ministri. Ma
leggendo fra le righe delle varie dichiarazioni, una luce si comincia a
intravedere. Da Ginevra Marina Doria continua a negare risolutamente e con
un certo fastidio che da lei, da suo figlio o da suo marito Vittorio
Emanuele siano mai partite richieste di alcun genere. Le definisce «bugie
allucinanti». «C'è qualcuno che ci vuole male e che vuole distruggere
l'immagine della famiglia. Ma noi abbiamo la coscienza tranquilla. Non
abbiamo chiesto niente a nessuno, aspettiamo solo di poter tornare nel
nostro paese dopo 56 anni. Ora basta con questa storia. Tutti i giorni
esce fuori qualcosa». Della causa intentata allo Stato italiano però,
Marina non vuole parlare. «Sono cose di cui si occupa il nostro legale».
«Qualcuno vuole screditarci», ripete l'avvocato Luigi Morbilli.
Annunciando addirittura di voler avviare «una piccola indagine interna»
per capire come sia potuta succedere una cosa che «ha dell'inverosimile».
Tra le ipotesi fatte dal legale, però, c'è anche quella che «qualcuno
abbia potuto fraintendere». Bruciando «tappe solo ipotetiche». E qui entra
in gioco la vertenza aperta dai Savoia non alla corte internazionale
dell'Aja, come si era detto, bensì al Tribunale di Strasburgo per i
diritti dell'uomo. L'avvocato spiega che quel ricorso è stato avviato nel
1999 da Vittorio Emanuele e dal figlio Emanuele Filiberto ponendo una mera
questione di principio: se cioè la XIII disposizione transitoria della
Costituzione italiana (in virtù della quale i discendenti maschi della
casata erano esiliati, privati del diritto di votare e di essere eletti,
nonché dei beni), violasse i diritti dell'uomo. Quesito di principio.
Tuttavia, non solo la legge costituzionale che sarà promulgata prestissimo
abolisce il primo e il secondo comma e non il terzo, quello che riguarda i
beni. Ma, soprattutto, il giudizio della corte è ancora pendente. Morbilli,
da avvocato, si limita a fare un esempio: «Se lo Stato mi tiene in carcere
per un reato che poi si scopre che non ho commesso, potrei anche chiedere
un risarcimento».
La chiave del giallo sembra essere proprio la richiesta di un risarcimento,
si presume cospicuo, che i Savoia potrebbero avanzare se la corte di
Strasburgo desse loro ragione. Di questo si parlava venerdì in Consiglio
dei ministri, ponendo la questione se non fosse meglio concordare subito
una transazione, all'interno della quale sarebbero spuntati i benefit della
polemica. Il governo ha comunque deciso di soprassedere. E oggi lascia capire
che al massimo si potrà loro concedere una scorta. Resta il piccolo giallo
politico su chi abbia divulgato la notizia in modo malizioso. An insorge:
«C'è qualcuno che vuole gettare discredito sui Savoia e porre nuovi ostacoli
al loro rientro, votato dal Parlamento», dice il senatore Michele Bonatesta.
La Lega, che votò contro la legge, è di parere opposto: «Credo che qualche
verità ci sia dietro le richieste che i Savoia avrebbero posto al nostro Paese»,
sostiene il coordinatore del Carroccio, senatore Roberto Calderoli. Mettendo le
mani avanti su un'eventuale modifica del terzo comma.
[m. g. b.]
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