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Savoia usurpatori
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Negli giorni precedenti il 15 marzo 2003,
quello dell'arrivo dei Savoia, sono state inviata e-mail per informare le
popolazioni del Sud e quelle italiche dei gravissimi danni causati dai Savoia e
dei loro misfatti.
e-mail
Giovedì 13 marzo 2003
Sabato prossimo arrivano i Savoia,
usurpatori di un Regno legittimo
di Nunzio DE PINTO
ndepinto@libero.it
CASERTA - E' programmato per sabato prossimo l'arrivo dei Savoiardi a Napoli.
Paradossalmente, il loro ritorno a Napoli ha di fatto diviso la città partenopea
e non solo. Da una parte i monarchici di casa sabauda, che in queste ore fanno
di tutto per ottenere un invito, dall'altra i sostenitori del Regno legittimo, i
borbonici più ortodossi e nel mezzo, e sono la stragrande maggioranza, quelli ai
quali la notizia del rientro dei reali non "ce po' fregar de meno".
Credo che i sostenitori filoborbonici abbiano ragione da vendere, non perché
sono filoborbonico, ma semplicemente per amore della verità e, in questo caso la
verità storica, non quella fatta, scritta, musicata e cantata dai vincitori, ci
dice che, se Garibaldi non si fosse fatto strumentalizzare da quel vampiro del
Conte di Cavour, la stessa Storia del Meridione e, conseguentemente, la
questione meridionale, che da quel 1861 si trascina senza alcuna soluzione,
sarebbe stata sicuramente diversa. Per carità, nessuno vuole essere tacciato di
sovversivismo. La Repubblica Italiana resta un baluardo nel mondo civilizzato e
per nessuna ragione al mondo, nemmeno per quello che professano i leghisti, si
può tornare indietro. Eppure, bisogna ristabilire un briciolo di verità nella
Storia così come ce l'hanno fatta studiare sino ad oggi.
Da "Scienze delle Finanze" di Francesco Saverio Nitti (Pierro, 1903)
scopriamo che le monete degli antichi Stati Italiani al momento dell'annessione
ammontavano a circa 669 milioni, di cui ben 443 milioni appartenevano al Regno
delle Due Sicilie (il Banco di Napoli poteva vantare la più grande raccolta di
denaro pubblico) e i restanti 226 milioni erano ripartiti fra: il regno di
Sardegna, Lombardia, Ducato di Modena, Parma e Piacenza, Roma, Romagna - Marche
e Umbria, Toscana, Venezia. Come dire che nel Regno dei Borbone c'erano il
doppio dei soldi che nel resto d'Italia. Persino la Borsa di Parigi, allora la
più grande del mondo, quotava la Rendita dello Stato napoletano al 120 per
cento, ossia la più alta di tutta l'Europa. Il Regno prima dell'avvento dei
Borbone non se la passava bene, ma con il loro avvento le cose cambiarono
radicalmente, a cominciare dal numero degli abitanti. Nel 1815 quando essi
rientrano di nuovo la popolazione era di 5.060.000 e nel 1836 di 6.081.993, nel
1846 la popolazione arrivò a 8.423.316 e dieci anni dopo a 9.117.050. Questo
vorticoso aumento della popolazione ha nome e cognome: benessere e progresso
civile e sociale.
Durante i 127 anni di buon governo i Borbone diedero prosperità a tutto il
popolo. I Borbone incivilirono e resero innocui i vari baroni del Regno,
costruirono strade, ricostruirono l'esercito e le amministrazioni locali cui
diedero l'antica autonomia, come diedero grande impulso all'industria,
all'agricoltura, alla pesca, al turismo. Da ultimo tra gli Stati divenne il
primo d'Italia e tra i primi nel mondo. Le ferrovie, inventate nel 1820, ignote
in Italia, fecero la loro prima apparizione a Napoli (1839) con il tratto che
conduceva la capitale a Portici e poi fu concessa al Bayard di continuarla fino
a Castellammare. A spese del tesoro borbonico nel 1842 cominciò quella per Capua
e poi l'altra per Nola, Sarno e Sansevero. Nel 1837 arrivò il gas e nel 1852 il
telegrafo elettrico, primissimi in Italia. Le strade erano sicure, non più
masnadieri per terra né pirati per mare; eliminate le leggi feudali diedero
ordine ai territori di tutto il regno e concessero, primi al mondo, la terra a
chi la lavorava; furono così estirpate le boscaglie per far posto a frutteti e
vigneti; furono prosciugate le paludi di tutto il regno e regalate ai contadini
le terre fertili; furono ripuliti ed arginati fiumi e torrenti.
Si mise ordine all'amministrazione pubblica e a quella del Regno delle Due
Sicilie. La scuola pubblica fu istituzionalizzata come primaria e quella
religiosa a far da supporto. Laicismo e religiosità si confondevano e
gareggiavano in rivalità, dando al regno nuovo impulso culturale. Fiorirono
pittori, architetti, scultori, maestri di musica. Il Teatro San Carlo, primo al
mondo, fu costruito in soli 270 giorni e la stessa corrente culturale fece
nascere l'Officina dei Papiri, il Museo Archeologico, il Real Orto Botanico,
l'Osservatorio Astronomico e, primo al mondo, l'Osservatorio Sismologico
Vesuviano e la Biblioteca Nazionale. Lo sviluppo industriale fu travolgente e in
venti anni raggiunse primati impensabili sia nei settori del tessile che in
quello metalmeccanico con 1.600.000 addetti contro il 1.100.000 del resto
d'Italia. Nacquero industrie all'avanguardia e tecnologicamente avanzate dando
vita a ferrovie e battelli a vapore e costruendo i primi ponti in ferro in
Italia, opere d'alta ingegneria in parte ancora visibili sul fiume Calore e sul
Garigliano. Vennero istituiti collegi militari come la Nunziatella, Accademie
Culturali, scuole di Arti e Mestieri, Monti di Pegno e Frumentari. Le Università
sfornavano fior di professionisti e scienziati e il Regno poteva vantare il più
basso tasso di mortalità infantile in Italia. Erano sparsi sul territorio
ospedali, ospizi per i poveri e ben 9.000 medici.
Nella conferenza internazionale di Parigi del 1856 fu assegnato al Regno delle
Due Sicilie il premio del terzo paese del mondo, dopo l'Inghilterra e la
Francia, per sviluppo industriale. Nel Meridione ad opera dei Borbone si ebbe
la prima repubblica socialista del mondo: nacque, infatti, a San Leucio, ove,
oltre ad 80 ettari di terreno adibito ad agricoltura, sorse la più famosa
seteria di tutti i tempi. Tutto questo è oggi ai più ignoto, anche nel
Mezzogiorno oltre che in gran parte dell'Italia del Nord eppure il Cavour,
che oggi sarebbe condannato quale criminale di guerra, con la scusa dell'Unità
d'Italia fece invadere il Regno legittimo dei Borbone e nei 10 anni che
seguirono alla sua annessione furono passati per le armi decine e decine di
migliaia di contadini, gente inerme, con la scusa di essere dei briganti.
L'Italia poteva, anzi doveva, costituirsi. Gioberti e Cattaneo già nel 1848
propugnavano un federalismo possibile. Nel 1859 la Monarchia Borbonica ed il
Governo del Regno delle Due Sicilie, con le dovute correzioni, proposero al
governo piemontese una soluzione in tal senso.
Al Piemonte interessavano solo i soldi dei Meridionali. Il 13 febbraio 1861
cadeva la fortezza di Gaeta: tre mesi di resistenza eroica, tre mesi di
sofferenze disumane, tre mesi di massacri perpetrati dal Generale Cialdini.
160mila bombe rasero al suolo la città tirrenica e fiaccarono per sempre la sua
vitalità ma non la sua storia. Eroico fu Francesco II, il giovane re napoletano,
ed eroica fu la sua consorte, regina Sofia; eroica fu la truppa ed eroica fu la
gente di Gaeta che in massa entrò nella cittadella fortificata per difendere la
propria libertà e la propria dignità. Camillo Benso Conte di Cavour sapeva che
il Piemonte era alla bancarotta (bisognava pagare i debiti di guerra con la
Francia) e non c'erano più soldi per pagare questa guerra; come sapeva che la
sifilide lo stava divorando. Al Piemonte interessava la conquista delle
ricchezze del Sud, delle sue riserve auree (guarda caso custodite presso il
Banco di Napoli, che oggi viene annesso al San Paolo IMI di Torino), delle sue
fabbriche.
Il 13 febbraio 1861 è una data che ogni Meridionale dovrebbe memorizzare, perché
è da allora che i vincitori spudoratamente scrivono e fanno studiare tutto il
brutto possibile dei Meridionali: brigante, fannullone, codardo, infingardo,
avvezzo al bacco, tabacco e venere, stupratore, traditore e quant'altro ancora
oggi ci portiamo appiccicato addosso.
Dopo il 13 febbraio 1861 il civilissimo e laborioso Mezzogiorno d'Italia, patria
di Pitagora, Archimede e Cicerone, di Tommaso Campanella e Giordano Bruno, di
Giovanni Caboto ed Ettore Fieramosca, patria dei Cesari che diedero la civiltà
al mondo, di colpo, diventò primitivo e barbaro agli occhi del resto d'Italia e
del Mondo.
Dopo la battaglia di Sadowa (1866) contro gli austriaci, i Prussiani si fecero
promotori della Confederazione degli stati tedeschi del nord con a capo il Re di
Prussica, lasciando agli stati confederati la loro autonomia più completa. Dopo
la battaglia di Sedan del 1870 contro i francesi, si aggregarono alla
Confederazione anche gli Stati del Sud, spontaneamente. Non corse sangue
tedesco, sangue di fratelli, nemmeno una goccia, nel processo di unificazione
della Germania, né un solo tedesco si ribellò a tale unione. I Savoia, emuli
degli spagnoli che annientarono gli Incas ed i Maya, emuli degli Yankees
nordamericani che massacrarono milioni di pellerossa, emuli degli inglesi che
massacrarono milioni di indiani, pakistani ed africani, sperimentarono sulla
pelle dei Napoletani la loro prima guerra coloniale. Il dominio dei Savoia si
concluse ignominiosamente il 9 settembre 1943, quando Vittorio Emanuele III con
la famiglia reale, Badoglio ed i principali esponenti governativi e militari
fuggono da Roma per imbarcarsi a Pescara sulla corvetta "Baionetta" per
dirigersi alla volta di Brindisi già liberata dagli Anglo-Americani. L'esercito
italiano, senza più un re, senza comando e senza direttive, va allo sbando:
600.000 uomini, in poche ore, cadono prigionieri delle truppe tedesche. I morti,
a causa di quella vile e codarda decisione, ammontano a circa 200.000. Ritornino
pure i Savoia in Italia, a Noi italiani e Meridionali non ce ne può fregar di
meno.
NUNZIO DE PINTO
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