VERSO UN REFERENDUM SULLA MEMORIA
TARTUFO E I SAVOIA
Michele Ainis
Fra i molti referendum annunziati dall'opposizione politica e da quella
sindacale (sulla giustizia, sul lavoro, sul conflitto d'interessi), ce n'è uno
di cui si parla poco, di cui quasi nessuno conosce l'esistenza. Eppure questo
referendum non è soltanto un'intenzione, una minaccia che suona come un altolà
contro le mosse dell'avversario politico di turno: lo scorso 13 settembre il
quesito è stato depositato in Cassazione, l'indomani è cominciata la raccolta
delle firme su e giù per la penisola, nei nostri 8.000 comuni. Lo promuovono
l'Associazione mazziniana, Giustizia e libertà, il Partito repubblicano italiano.
S'oppongono alla legge votata in estate dalle Camere, quella che modifica la XIII
disposizione finale della Costituzione, permettendo il rientro dei Savoia. Hanno
pochi mezzi, e in mano una bandiera impopolare, dato che il loro obiettivo è di
prolungare la pena medievale dell'esilio a un paio d'affabili signori.
Ma i Savoia non sono italiani come gli altri, e anche la legge che li
restituisce al nostro suolo è una legge affatto singolare. In primo luogo perché
incide sul carattere della Repubblica italiana, benché la «forma repubblicana»
- secondo la regola prescritta dall'art. 139 della Costituzione - non possa mai
venire sottoposta ad alcuna revisione. In secondo luogo perché essa cambia la norma
costituzionale, senza però cambiarla: o meglio, ne dichiara la «cessazione degli
effetti», lasciando formalmente inalterato il testo. Che dunque continuerà a
figurare in appendice alla Costituzione vera e propria, placando la coscienza di
quei parlamentari che altrimenti avrebbero ben potuto opporsi alla modifica.
Un'acrobazia giuridica, una trovata tartufesca, com'è del resto nelle nostre
tradizioni nazionali? Dipende. Se per il futuro cadono gli effetti del divieto,
vuol dire che tuttavia per il passato restano salvi quelli già prodotti: questa,
almeno, è la lettura suggerita dall'intitolazione della legge di modifica. Poi,
però, al suo interno compare un'espressione un po' diversa: gli effetti del
divieto non cessano ma si «esauriscono». Significa che questa modifica cancella
anche il passato? Che domani i Savoia potrebbero chiederci i danni subiti a causa
dell'esilio? Che hanno diritto alle cariche e agli onori che a suo tempo i
costituenti gli sottrassero?
Per una volta, insomma, e almeno in questo caso, il Parlamento avrebbe fatto
meglio a coltivare la difficile virtù della chiarezza. Non si chiude una pagina
di storia, non si traccia una riga sul passato, attraverso trucchi verbali e
logogrifi da Settimana enigmistica. Poi, certo, noi italiani abbiamo molte
altre cose cui pensare. Ma vorrà dire che se in ultimo questo referendum giungerà
fino alle urne, sapremo fin da adesso come denominarlo, e senza equivoci di sorta:
un referendum sulla memoria.
micheleainis@tin.it
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