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Il "Kistus" di Magone figlio di Amilcare

Nell'anno 1597 venne rinvenuto, nelle acque del nostro porto, un antichissimo Sisto o Ariete in bronzo foggiato a testa di cinghiale. Collocato sopra la porta dell'Arsenale, in seguito fu trasportato nell'Armeria di Palazzo Ducale, e, successivamente, nell'Arsenale di Terra, dove rimase fintantoché, insieme alle armi ed alle armature genovesi, non venne sistemato, per volontà del Re Carlo Alberto, nella costituenda Armeria Reale di Torino (1833).

Questo raro, se non unico cimelio fu per lungo tempo ritenuto un rostro come risulta dalla «Description des beautés de Génes et de ses environs», guida artistica, edita a Genova nel 1768, in lingua francese «Chez Yves Gravier, libraire sous la Loge» per i tipi della stamperia di Adamo Scionico, sulla Piazza di San Lorenzo, che illustrando la Sala d'armi del «Palais Royal prés du Dame de Saint Laurent» riferisce: «dans la Sale d'armes, ce que j'ai observé de plus remarquable c'est un ancien Bec de navire Romain appelée en latin Rostrum, que l'on croit unique au monde» e dall'«Excursus litterari per Italiam», opera del gesuita Francesco Antonio Zaccaria, dato alle stampe in Venezia nel 1754, attestante: «Quindi quel singolarissimo Rostro di bronzo, avanzo di antica nave, ritrovato nei fondi di questo porto (di Genova) l'anno 1597, rappresentante la testa d'un cinghiale, avrà per avventura guernito la prora di qualche nave nominata Aper». Quest'ultimo autore nel darne un confuso disegno rivela invece un particolare storicamente interessante. Sul luogo dove era esposto l'ordigno si poteva infatti leggere la seguente iscrizione:

La descrizione fornita da coloro che rinvennero la arma, indusse, lo Zaccaria, non esperto di cose navali, a ritenere di essere nel giusto considerando l'arma come un rostro.

Anche il Rich, nel suo «Dizionario delle antichità Greco-Romane» alla voce «Rostrum» cita questa testa di cinghiale, che descrive come un ordigno di metallo da fissarsi su di un trave sporgente sulla ruota di prora ad una certa altezza sopra la chiglia ed il filo dell'acqua; non considerando che il rostro o sperone, terribile arma di offesa, sporgeva a pelo d'acqua dalla prua delle galee e veniva impiegato per affondare le navi avversarie.

Il Rich fa altresì sua la credenza che assegna il cimelio ad una nave affondata nel nostro porto durante una battaglia combattuta dai genovesi contro il cartaginese Magone, fratello di Annibale, circa nell'anno 203 a. C. A ciò fanno fede i testi classici con i primi riferimenti storici su Genova (Magone cartaginese distrugge Genova: 205 a. C. Livio XXVIII, 46) «... in quella stessa estate Magone figlio di Amilcare, dalla minore delle isole Baleari, ove aveva svernato, trasferì in Italia, con circa 30 navi rostrate e molte da carico, 12.000 fanti e circa 2.000 cavalieri».

L'arma, riprodotta nel testo, è di dimensioni minori del rostro. Dai Greci e dai Romani venne chiamata «XISTUS ». «Montone» e « Bolzone» nel Medio Evo. Formò, fino all'introduzione dell'uso dei cannoni navali, l'armamento offensivo pesante delle navi.

Il «Xistus» o Sisto altro non era che un lungo palo di legno, (Omero lo descrive lungo ventidue cubiti), sospeso a bilancia all'albero della nave per mezzo di maniglie e di corde, e munito ad una estremità di uno ordigno di metallo, talvolta a forma di testa di animale, montone o cinghiale, o più semplicemente di un grosso spuntone di ferro.

Quest'Ariete navale, il cui uso era limitato agli abbordaggi, manovrato da più uomini andava ripetutamente a cozzare contro le opere e gli occupanti del naviglio nemico. Grazie alla sua particolare sistemazione poteva oscillare per ogni dove con qualunque inclinazione, mentre in stato di riposo si teneva sollevato sull'albero.

Questa messa a punto c'è stata permessa dallo studio degli elementi contenuti nella poderosa opera «Storia della Marina Pontificia» di Alberto Guglielmotti, esperto cultore di arte navale. Altra testimonianza è apportata dal veneziano Marin Sanudo, detto il Vecchio, viaggiatore o meglio esploratore, scrittore e cartografo che nella sua opera «Liber Secretorum Fidelium Crucis» scritta negli anni dal 1321 al 1323, afferma: «Octavo, est utile atque bonum ut in prora cujuslibet magni navigii armati suspendatur ligum quoddam longum, ex utraque parte ferratum; quod ad percutiendum tam naves, quam nautas se habeat quasi aries cum quo civitatis obsessae moenia conteruntur».

Le asserzioni autorevoli del Guglielmotti e del Sanudo, i quali godono di una incontrastata esperienza di cose marinare, inducono a riconoscere nel prezioso cimelio un «Xistus »; benché oltre alle due versioni, ultime citate; in occasione della Mostra del Consorzio Autonomo del Porto di Genova ne sia affiorata una terza, abbastanza attendibile, che sostiene trattarsi di un «Epidoto», cioè il rostro superiore di una triremi romana, posto più in alto di quello subaqueo a tre punte, con probabile funzione di frenaggio d'urto contro la nave nemica.

«Xistus» o «Epidoto» resta il legittimo rammarico d'averlo perduto sia per la nostra città che per il nostro Museo Navale.

Giovanni da Genova    

Tratto dal mensile "Voxe de Zena" n. VIII, anno III, p. 27

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