I
quartieri Portoria e Prè "Non possiamo accogliere i massacratori del
1849. Facciano autocritica"
'Non vogliamo bersaglieri'
Due rioni di Genova contro il raduno
di GIOVANNA CASADIO
GENOVA - Il cuore di Genova, il centro storico dalle mille ferite, non
vuole i bersaglieri. Non è stata un'idea vincente scegliere quest'anno la
città della Lanterna per il raduno nazionale dei fanti piumati. I centomila
in arrivo sfileranno, se sfileranno, l'8 maggio prossimo tra un gruppo che
si autodefinisce numeroso, di leghisti con nastri di lutto al braccio.
Rivendicazioni
autonomiste
Questo per ricordare la repressione compiuta nel 1849 proprio dai
bersag1ieri, 30 mila secondo stime storiografiche di parte «zeneise-lumbard»,
che spezzarono le rivendicazioni autonomiste della repubblica ligure. E
comunque, fez e cappelli piumati dovranno restare fuori dal cuore cittadino,
per l'esattezza dal quartiere di Portoria, uno dei più antichi, che abbraccia
i caruggi a ridosso del porto e sale su fino a piazza De Ferrari.
Il consiglio di quartiere ha posto l'argomento all'ordine del giorno
dell'assemblea di questa sera. Delibereranno, a Portoria, che da qui i
bersaglieri non passeranno. Niente fanfare e passo di corsa, sventolio di
piume del cappello, applausi e lacrime di mamme, come vuole l'agiografia
del Corpo militare. Rifiutati.
Tutti d'accordo a Portoria? Neanche per sogno, ma la maggioranza c'è
ed è composta da 8 leghisti, due missini e dal rappresentante di una lista
locale che il 21 novembre scorso, quando si è votato per il rinnovo delle
amministrazioni locali, consigli di quartiere compresi, hanno ottenuto un
grande successo. Sorprendentemente, sulle posizioni leghiste si ritrovano
anche i 'vicini' del quartiere di Prè, cioè del centro storico guidati da
un presidente 'rosso', portuale della Culmv la Compagnia unica del porto.
Atteggiamento più sfumato ma uguale perplessità: «Perché aprire le porte
a chi provocò proprio in queste strade e in queste vie una strage feroce?»
Si chiede il presidente di Prè, Otello Parodi e rivendica la necessità
di un'autocritica da parte del Corpo. Loro, i bersaglieri, per ora
tacciono.
Il presidente regionale dell'Associazione bersaglieri, Lorenzo Campani,
si limita ad annunciare una riunione per questa mattina in cui «prenderanno
atto delle voci raccolte». Il programma del raduno è nutrito e prevede tra
l'altro l'inaugurazione di un monumento ai bersaglieri nel cimitero di Staglieno,
messa officiata dal cardinale Canestri, saluto del sindaco Sansa, mostra
storica dedicata al Corpo a palazzo Ducale. Tre giorni, dal 5 all'8 maggio,
che sono anche resa d'onore alla storia risorgimentale.
Che la contestazione di Portoria sia contro il Risorgimento italiano?
«Certamente, è una contestazione del Risorgimento», afferma Giorgio Doro,
il presidente del consiglio di circoscrizione di Portoria eletto nelle file
della 'Lega nord-Liguria'. Di mestiere, Doro si definisce storico. Ai
fatti del 1849 ha dedicato un libro, dato alle stampe un anno fa. Adesso,
la proscrizione dei bersaglieri dal quartiere non la ritiene una provocazione,
bensì un 'modo estremamente serio' di rivendicare radici e spirito genovesi.
Dice: «Non è possibile ignorare quanto è accaduto cioè l'annessione con la
forza al Regno di Sardegna ossia al Regno d'Italia. È Stato un atto che ha
infranto le leggi di diritto internazionale».
La lapide
allo studente
Doro vorrebbe innanzi tutto che i bersaglieri convocati a Genova all'inizio
di maggio compiessero un atto di contrizione, recandosi a porre una corona
davanti alla lapide dello studente Alessandro De Stefanis, morto durante
i moti del 1849. Insiste sul fatto che l'autonomia ligure andava e va rispettata.
Ma con il cantone del Nord, nella repubblica federata sognata dai lumbard del
senatore Bossi, come la mette? «Non si tratta di rivendicare l'autonomia
contro i piemontesi - risponde Doro - ma di smascherare le origini del
Risorgimento. In sintesi, i bersaglieri non possono mettere una medaglia
nera tra le altre d'oro. I fatti della repubblica ligure si devono sapere.
La nostra delibera intende soprattutto appellarsi al loro senso morale, alla
coscienza del Corpo dei bersaglieri e alla necessità che finalmente facciano
autocritica».
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