Genova città aperta?
Adesso sì, è pace fatta
Ma ci son voluti cinquant'anni
Un picchetto di "fanti piumati"
ha deposto una corona d'alloro
sulla lapide di Alessandro
De Stefanis, ucciso dai bersaglieri
durante i moti genovesi del 1849 |
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Il generale:
"Riappacificazione?
Pace degli animi.." |
di DONATELLA ALFONSO
«Riappacificazione? Mah, chiamiamola pacificazione degli animi...» Il generale in
congedo Gianni Romeo, presidente dell'Associazione Nazionale Bersaglieri, stringe il
cappello piumato con due dita e guarda su, verso la chiesa di N.S. di Loreto.
L'appuntamento è per le tre e mezzo del pomeriggio; i bersaglieri, come promesso,
deporranno una corona d'alloro ai piedi della lapide marmorea che ricorda, con
auliche parole nelle quali è facile smarrire l'orientamento, il sacrificio di
Alessandro De Stefanis (Destephanis, dice il marmo) trucidato dai bersaglieri durante
la repressione dei moti autonomisti de1 1849. Non vogliono più saperne di polemiche
i bersaglieri, dopo le proteste dei consigli di Circoscrizione di Portoria e di
Pré-Molo-Maddalena, per quella sfilata, quel raduno, che poteva sembrare uno schiaffo,
anche se dopo centocinquant'anni, ad una popolazione che aveva vissuto una repressione
brutale. Ci siamo chiariti, racconta il generale Romeo, ed eccoci qui, come promesso.
Per rendere onore ad un caduto.
Sul sagrato ci sono più poliziotti e carabinieri che bersaglieri. Sono una dozzina,
con il copricapo dal piumaggio più o meno corposo («Dipende da quanto si vuole
spendere... e poi adesso non sono più piume di gallo cedrone, è un animale protetto.
Queste sono di gallo cinese 'phoenix'»). Il generale Romeo guarda l'orologio; alle tre
e mezza mancano due minuti. Lorenzo Campani, presidente regionale, lo affianca: il
drappello si mette in formazione, l'alfiere con il piccolo stendardo della sezione
genovese «Medaglia d'oro Gustavo Fara» e, subito dietro, la corona. La portano in due,
uno è Piero Parodi, folksinger ma, precisa lui, qui perché bersagliere in congedo,
sempre pronto a indossare di nuovo il cappello. Su per i pochi gradini, poi nella
fresca ombra della chiesa: ed ecco una tromba pronta per dare tre squilli e poi, subito
dopo, calare il velo del silenzio d'ordinanza. Remo Cerasoli, 67 anni, però
all'occhiello ha uno stemmino che non è quello dei bersaglieri: «Eh no - spiega il
trombettiere - io sono carabiniere, ero nella fanfara dell'Arma».
Tutti salutano militarmente e stanno per uscire quando Giorgio Doro, con bandiera
genovese in mano, irrompe trafelato e si inginocchia davanti alla lapide della quale
alcuni abitanti di Oregina, stanno cercando di decifrare il significato: «Se hai
maledetto alla speranza dei forti, se operosa carità di patria non ti commuove,
scostati dalla tomba del martire...» La pensionata legge, come se avesse scoperto per
la prima volta che lì, in chiesa, c'era la lapide. «Cosa ne penso? Una pacificazione
è sempre una bella cosa, ma comunque ne sono passati, degli anni...». Giorgio Doro
stringe mani e ringrazia tutti i bersaglieri presenti. Dietro di lui, Otello Parodi,
presidente del parlamentino del vicoli, più discreto: «L'importante è che sia dato
risalto a quel che era successo in quel periodo. È un atto di rispetto anche della
città». Allora, Doro, querelle superata? «Beh sì, anche se ci sono elementi
nuovi... ho trovato documenti su come venivano trattate le truppe dei Savoia, in
condizioni inumane... si può capire la ragione di certe violenze. Ma ora l'importante
è l'incontro con il Duca d'Aosta, sabato al Padre Santo: sia chiaro, solo il
Padreterno può perdonare, ma lui mi vuol consegnare un messaggio, e poi dei documenti
sui rapporti tra i Savoia e Genova, sempre angariata... ma l'importante è capire se
il loro spirito verso Genova è cambiato». Perché, Vittorio Emanuele vuole cannoneggiarci?
Ma Doro non si fa problemi: è la Storia che bisogna ristabilire, dice. Un gruppetto
di pensionati ascolta, ma non è convinto. Qui, racconta Alessandro Ghiglioli, di
questa storia non ne sapeva niente nessuno. E comunque, è una guerra lontana. «Vanno
a cercare queste cose, ma non vogliono riconoscere i morti della seconda guerra
mondiale» scuote la testa Angelo Frisone.
Più in là, un gruppetto di ragazzi su una panchina. Cosa ne pensate di quello che
è avvenuto in chiesa? «Boh? Perché, cos'è successo?» E Lorenzo, giaccone di pelle e
fisico robusto, spiega che invece stanno raccogliendo firme contro la chiusura della
media «Bixio» di via Pagano Doria. Questa sì, è una cosa che sta a cuore ai ragazzi
della zona.
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