Adesso sì, è pace fatta
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Il Lavoro - la Repubblica Venerdì 6 maggio 1994

Genova città aperta?

Adesso sì, è pace fatta

Ma ci son voluti cinquant'anni

Un picchetto di "fanti piumati"
ha deposto una corona d'alloro
sulla lapide di Alessandro
De Stefanis, ucciso dai bersaglieri
durante i moti genovesi del 1849

Il generale:
"Riappacificazione?
Pace degli animi.."

di DONATELLA ALFONSO

«Riappacificazione? Mah, chiamiamola pacificazione degli animi...» Il generale in congedo Gianni Romeo, presidente dell'Associazione Nazionale Bersaglieri, stringe il cappello piumato con due dita e guarda su, verso la chiesa di N.S. di Loreto. L'appuntamento è per le tre e mezzo del pomeriggio; i bersaglieri, come promesso, deporranno una corona d'alloro ai piedi della lapide marmorea che ricorda, con auliche parole nelle quali è facile smarrire l'orientamento, il sacrificio di Alessandro De Stefanis (Destephanis, dice il marmo) trucidato dai bersaglieri durante la repressione dei moti autonomisti de1 1849. Non vogliono più saperne di polemiche i bersaglieri, dopo le proteste dei consigli di Circoscrizione di Portoria e di Pré-Molo-Maddalena, per quella sfilata, quel raduno, che poteva sembrare uno schiaffo, anche se dopo centocinquant'anni, ad una popolazione che aveva vissuto una repressione brutale. Ci siamo chiariti, racconta il generale Romeo, ed eccoci qui, come promesso. Per rendere onore ad un caduto.

Sul sagrato ci sono più poliziotti e carabinieri che bersaglieri. Sono una dozzina, con il copricapo dal piumaggio più o meno corposo («Dipende da quanto si vuole spendere... e poi adesso non sono più piume di gallo cedrone, è un animale protetto. Queste sono di gallo cinese 'phoenix'»). Il generale Romeo guarda l'orologio; alle tre e mezza mancano due minuti. Lorenzo Campani, presidente regionale, lo affianca: il drappello si mette in formazione, l'alfiere con il piccolo stendardo della sezione genovese «Medaglia d'oro Gustavo Fara» e, subito dietro, la corona. La portano in due, uno è Piero Parodi, folksinger ma, precisa lui, qui perché bersagliere in congedo, sempre pronto a indossare di nuovo il cappello. Su per i pochi gradini, poi nella fresca ombra della chiesa: ed ecco una tromba pronta per dare tre squilli e poi, subito dopo, calare il velo del silenzio d'ordinanza. Remo Cerasoli, 67 anni, però all'occhiello ha uno stemmino che non è quello dei bersaglieri: «Eh no - spiega il trombettiere - io sono carabiniere, ero nella fanfara dell'Arma».

Tutti salutano militarmente e stanno per uscire quando Giorgio Doro, con bandiera genovese in mano, irrompe trafelato e si inginocchia davanti alla lapide della quale alcuni abitanti di Oregina, stanno cercando di decifrare il significato: «Se hai maledetto alla speranza dei forti, se operosa carità di patria non ti commuove, scostati dalla tomba del martire...» La pensionata legge, come se avesse scoperto per la prima volta che lì, in chiesa, c'era la lapide. «Cosa ne penso? Una pacificazione è sempre una bella cosa, ma comunque ne sono passati, degli anni...». Giorgio Doro stringe mani e ringrazia tutti i bersaglieri presenti. Dietro di lui, Otello Parodi, presidente del parlamentino del vicoli, più discreto: «L'importante è che sia dato risalto a quel che era successo in quel periodo. È un atto di rispetto anche della città». Allora, Doro, querelle superata? «Beh sì, anche se ci sono elementi nuovi... ho trovato documenti su come venivano trattate le truppe dei Savoia, in condizioni inumane... si può capire la ragione di certe violenze. Ma ora l'importante è l'incontro con il Duca d'Aosta, sabato al Padre Santo: sia chiaro, solo il Padreterno può perdonare, ma lui mi vuol consegnare un messaggio, e poi dei documenti sui rapporti tra i Savoia e Genova, sempre angariata... ma l'importante è capire se il loro spirito verso Genova è cambiato». Perché, Vittorio Emanuele vuole cannoneggiarci? Ma Doro non si fa problemi: è la Storia che bisogna ristabilire, dice. Un gruppetto di pensionati ascolta, ma non è convinto. Qui, racconta Alessandro Ghiglioli, di questa storia non ne sapeva niente nessuno. E comunque, è una guerra lontana. «Vanno a cercare queste cose, ma non vogliono riconoscere i morti della seconda guerra mondiale» scuote la testa Angelo Frisone.

Più in là, un gruppetto di ragazzi su una panchina. Cosa ne pensate di quello che è avvenuto in chiesa? «Boh? Perché, cos'è successo?» E Lorenzo, giaccone di pelle e fisico robusto, spiega che invece stanno raccogliendo firme contro la chiusura della media «Bixio» di via Pagano Doria. Questa sì, è una cosa che sta a cuore ai ragazzi della zona.

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