Tursi premiò il bersagliere
contestato "Protesse dai saccheggi un senatore"
Quella daga che suscitò l'ira di La Marmora
di PIERO PASTORINO
Il caso del bersagliere Alessio Pasini si innesta nella spedizione delle penne al
vento a Genova nell'anno 1849. Fu un episodio con strascichi notevoli e accuse tra
il generale Alfonso La Marmora e la nostra municipalità. Merita rievocarlo in
questi giorni che vede radunati centomila bersaglieri nella nostra città, anche per
tentare di rivalutare la memoria di questo loro commilitone, in quei giorni
ingiustamente perseguitato.
Il bersagliere, nativo di Mantova, ebbe il pubblico plauso della municipalità
genovese "per avere salvato da violenze la famiglia del senatore Daneri" e molte
altre famiglie genovesi. Senonché Pasini, il cui gesto altruistico non era stato
altrettanto apprezzato dal comando dei bersaglieri, aveva disertato. Oltretutto,
il lombardo non doveva nutrire soverchia affettività nei riguardi delle milizie
savoiarde. Così fu che il tribunale militare che doveva decidere la sorte del
contumace - Pasini era riparato a Parigi - perché sospetto di saccheggio e rapina,
si trovò le mani legate di fronte all'inopinata decisione del comune di Genova.
L'atto di accusa contro di lui era davvero di una stupefacente faziosità verbale:
"L'aver salvato la famiglia Daneri non fu che a scopo di allontanare da sé ogni
sospetto e procurarsi così l'immpunità".
Il processo fu istruito il 6 maggio. Forse gli fu favorevole, perché il giorno
20 dello stesso mese, il suo capitano, di cognome Longoni, che comandava la 4°
compagnia, pubblicava una lettera nella quale affermava che: "il Pasini disertò
due volte; fece ricco bottino negli svaligiamenti di casa: sarebbe tempo di finirla
con le lodi".
Longoni era un ex deputato di Rapallo che nella seduta della Camera del 20
febbraio dello stesso anno aveva proposto si mettesse il bavaglio alla stampa
durante la prossima guerra. Aveva anche detto, nella stessa seduta: "Il soldato
piemontese non scenderà mai alla viltà di un giannizzero, non sarà mai lo strumento
della tirannide".
I1 9 maggio era comparsa sul giornale "L'Imparziale Ligure" la lettera di stima
e riconoscenza de1 municipio ad Alessio Pasini per avere "il giorno 5 di questo
mese con pericolo vostro efficacemente protette, nelle sostanze, nell'onore,
nella vita parecchie famiglie genovesi minacciate dalla militare licenza". Una
daga fu il riconoscimento deciso a favore del bersagliere.
La lettera provocò le ire di Alfonso La Marmora, che inviò al sindaco Profumo
una risposta di fuoco, richiedendogli il testo completo del plauso al bersagliere.
Il giorno successivo, il generale convoca al comando il sindaco, accompagnato da
alcuni consiglieri. Risultato dell'incontro fu che il sindaco scrisse una
dichiarazione correttiva per alcune osservazioni che erano parse offensive nei
riguardi dell'esercito piemontese. Entrando nei particolari, Profumo tuttavia
sottolineò che solo l'azione di Pasini frenò alcuni commilitoni facinorosi che
stavano mettendo a soqquadro l'abitazione di un magistrato in salita degli Angeli.
La daga promessa al bersagliere gli fu poi recapitata nel suo rifugio di Parigi
per mezzo di Raffaele Rubattino, amministratore dei vapori sardi. "Secondo l'incarico
avuto dalla S. V. Ill.ma - scrive Rubattino al sindaco - ho rimesso a Parigi, via
di Marsiglia, la daga d'onore inviata dal municipio all'ex bersagliere Alessio
Pasini e mi pregio di rimetterle la ricevuta del Pasini".
L'ex bersagliere neanche in Francia ebbe vita facile. Trovò lavoro come minatore,
ma riportò gravi lesioni per lo scoppio di una mina. Rimpatriato, fu ricoverato
all'ospedale Celesia di Rivarolo, dove morì all'età di 46 anni il 23 luglio 1874.
Non sarebbe dunque atto doveroso dei bersaglieri riabilitare il loro compagno
d'arme?
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