I bersaglieri e la memoria
liguria@francobampi.it
 

Home > Sacco di Genova: aprile 1849 > Raduno a Genova dei bersaglieri > I bersaglieri e la memoria
[ Indietro ]

Il Lavoro - la Repubblica Sabato 7 maggio 1994

Bersaglieri, la memoria
e la pace con la città

di padre GIACOMO GRASSO

Un amico, attento storico, profondo conoscitore degli archivi genovesi, da quello di Stato e del Comune a quelli di parrocchie, conventi e famiglie, industrie e società operaie, ha redatto un ampio studio dal titolo: «La comune di Genova del 1849». È l'estratto di un ben più ampio lavoro in corso di preparazione. Da esso traiamo quanto segue. Non dimentichiamo neppure l'insegnamento dei nostri Padri, nati nei primi anni del '900. Ci dicevano: «A Genova se sei in un'osteria, o in un negozio, ed entra un Bersagliere, tu esci». L'insegnamento l'avevano ricevuto quelli i cui Padri, nati tra il 1860 e il 1880, avevano avuto padri che, ragazzi, avevano vissuto i fatti del '49 a Genova ed erano, per lo più, di famiglia operaia e artigiana.

Accanto a pochi borghesi, qualche rarissimo nobile, un unico religioso, padre Bottaro. I rivoltosi del 1849 erano infatti soltanto operai e artigiani. Non mancarono nomi grandi del Risorgimento, come Nino Bixio e Goffredo Mameli che speravano che la rivolta di Genova aiutasse Venezia e la Repubblica Romana, vanti d'Italia.

Mentre i fatti di Venezia e di Roma, la prima contro l'Austria, la seconda contro lo Stato Pontificio son ben conosciuti da tutti perché si studiano nelle medie inferiori e superiori, quelli di Genova, altrettanto importanti, sono stati avvolti dal silenzio. Bisognava fare silenzio. La reazione e i reazionari, fino a Cavour, lo imponevano. Scrive il dr. Luigi Grasso, lo storico di cui si è detto sopra: (con l'oppressione di Genova e condanne durate fino al 1857-58) «I conti con il "Quarantotto" erano stati regolati fino in fondo».

Cosa successe a Genova dal 27 marzo, giorno in cui giunse in Città la notizia della sconfitta di Novara, all'11 aprile, giorno in cui la divisione La Marmora (di Bersaglieri) «entra in una città deserta dove portoni e finestre sono sbarrati in segno di disprezzo e di lutto»? La città, ma si deve intendere soprattutto un popolo povero ma fiero, sa dell'abdicazione di Carlo Alberto e teme per lo Statuto, dunque per la Democrazia, e per la libertà. Gli austriaci saranno i nuovi padroni. I vecchi padroni, aristocratici, clero, banchieri e ormai gli industriali, saranno con loro. Così, come nel 1746 (l'episodio di Balilla), il popolo si arma e lo fa dirigendosi a Tursi, sede della Guardia Nazionale o Civica. Il giorno dopo il popolo conquista i forti Sperone e Begato. Il comandante del Presidio sa pero che sta marciando verso Genova la Divisione La Marmora (Bersaglieri). Il 29 si apprende la formazione di un nuovo Governo, a Torino, il ministero De Launay, un nobile savoiardo, notoriamente reazionario. Questo preoccupa anche borghesia e nobiltà illuminata. Il 30 marzo manifestano marciando verso l'Acquaverde sede del presidio militare (ex monastero delle domenicane dello Spirito santo, ora stazione Principe), circa 30.000 persone! Il 31 è giornata piena di contrasti. Il 1° aprile, domenica delle Palme, o di Passione, è una domenica tragica. Genova insorge tutta, s'intende dalla Lanterna alla Foce. Sette uomini sono trucidati dai Carabinieri del Presidio attorno all'erigendo monumento a Cristoforo Colombo. Tanto fanno gli insorti che il 2 aprile un ufficiale dell'esercito sardo tratta la resa perché si possa raggiungere senza danni o Alessandria o Savona. Fu accolta anche perché se il Presidio Militare temeva l'arrivo dei volontari della divisione Lombardia (democratici convinti), gli insorti temevano l'arrivo della divisione La Marmora (Bersaglieri). Ne nacque festa grande. Sembra la vittoria della rivolta e con essa delle garanzie allo Statuto Carlo - Albertino e della seppur minima democrazia da esso garantita. Passò il 3 aprile ma il 4 il generale La Marmora fu vicino alla Città. Ne gioirono i reazionari e benpensanti. Intimoriti gli altri, tutto un popolo. Momenti di tensione e anche di tradimento caratterizzano questa giornata. Il 5 aprile La Marmora attaccò. E fu il saccheggio, la violenza, lo stupro. Distruzioni e pianto ovunque (e i fatti, allentati, durarono mesi), a colpa dei Bersaglieri «finché l'unanime richiesta dei genovesi non spinse il governo a più miti consigli e non ne ottenne un parziale ritiro». Tutti reagirono, dunque, non solo i rivoltosi colpiti... La resistenza, i combattimenti, le morti, le ferite durarono dal 5 al 10 aprile. Un po' di tregua l'8 il giorno di Pasqua. Altrimenti cannoneggiamenti, stragi, prigione. Ne è testimone il Commodoro inglese Harwick pur ostile alla rivolta, nei suoi dispacci all'ambasciatore inglese a Torino. La città si era data subito un governo provvisorio, formato per lo più da borghesi coinvolti coi rivoltosi, e ancora da padre Bottaro (affari interni). Ormai, però non poteva più resistere all'estrema violenza militare e l'11 aprile la Divisione La Marmora (bersaglieri) entrò, come si è detto, in Genova. Non fu bene accolta. Questo è scritto «a memoria». Non per suscitare odio ma pace. La pace infatti è «pienezza di vita» e la «pienezza di vita» non si ha nell'ignoranza ma nella conoscenza della verità, anche se la verità tante volte è dura, e pesante da digerire.

[ Indietro ]