Le racchette, le bombe, le palle ardeano a diluvio, sfondavano i tetti e profondavano morti, incendi e rovine. Il quartier di Portoria ne fu sopra tutti malconcio, e mentre una sola bomba non cadde sovra i signorili palagi, le povere case ed i tuguri de' popolani ebbero forate le mura da quei micidiali tormenti. Anche le navi ancorate nel porto assai danni soffersero, e più d'una andò affogata nei flutti, e paventando i Regii la venuta dei Lombardi da Chiavari, fecero pur segno ai lor colpi il "Paquebot-poste" vapore francese, ed il "Liamone" per cui fu costretto il Lamarmora a far le sue scuse al comandante della stazione francese ed al console generale, ed a salutare la bandiera di quella nazione.

Ben so che il gen. Lamarmora scrisse d'aver dato ordine a' suoi di non concentrare i fuochi, ma di abbracciare con essi l'intiera Città, onde incutere con lieve danno grande spavento. Però il suo pio desiderio venne per intero frustrato: ché i fuochi tutti furon diretti in un solo rione e con poco spavento de' combattenti la città s'ebbe un gran danno.

In fatto quel popoloso sestiere, dove posa, il più illustre d'ogni regio splendore, la pietra del Santo Balilla, fu principale bersaglio ai colpi di chi partecipava all'infamia di cui favella quel secolare monumento.

Sedici bombe caddero sovra l'ospitale di Pammatone, che pur come ogni altro stabilimento di carità aveva inalberato il negro stendale, il che presso civili nazioni è tal segno, che rende inviolate le mura su cui s'innalza.

Undici di esse scoppiarono per le vaste corsie degli infermi, e vi successe tal scena, che mette al raccontarla il raccapriccio nel cuore. Allo scoppio degli omicidi proietti assorgeano gli ammalati dal letto dei loro dolori; e brancolando tentavan fuggire; taluni rimanevano uccisi, taluni feriti, altri fatti alcuni passi cadeano tramortiti a terra. Più di tutti soffersero nella tentata fuga i feriti, che aveano dovuto nelle antecedenti giornate soffrire amputazioni, poiché si sfasciarono le loro piaghe e dovettero soccombere. Quelli poi che sopravissero presi da orrendo delirio urlavano di continuo: «Le bombe, le bombe!». E n'ebbero per lunga pezza scombuiata la luce dell'intelletto.

Eran questi i riguardi che Pinelli, smentendo con fronte di bronzo il bombardamento, diceva non ignorare esser dovuti alla generosa città!

Noi lasciamo ad altra penna il raccontamento degli orribili guai prodotti non solo da questo, ma più ancora dal furor militare, il quale nonché pareggiare avanzò di gran lunga le ferocie croate.

Se tutti infatti noi ci facessimo a dire le nefandigie, i soprusi, le stragi, le devastazioni, gli stupri, i sacrilegi, perpetrati dal piemontese soldato, forse i lontani ci negherebbero fede.

In ben oltre trecentocinquanta famiglie di S. Rocco degli Angioli, di S. Teodoro e di S. Lazzaro, come risulta dai documenti raccolti al Municipio, infuriò la bestialità delle forsennate milizie, che sfondavano gli usci delle pacifiche case, e tutto mandavano a ruba. Oltre agli averi dei cittadini si dié di piglio ai vasi sacri, ed agli arredi dei templi, si stuprarono vergini, le madri insultavansi; nel palazzo del Principe Doria si fecero ingollare ad alcuni de' nostri prigioni gallette inzuppate di sangue.

Diversi ufficiali, quelli in ispecie de' bersaglieri furono i primi a bottinare (alcuni di essi già scontano nel carcere le loro scelleratezze) animando coll'esempio i soldati.

Ma ciò basti per ora.

La storia infamerà cogli scritti chi si infamava coll'opere!

Tratto da I moti genovesi del '49, Erga, Genova, 1967, pag.89-91



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