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De Stefanis (De Stephanis) Alessandro

De Stefanis (De Stephanis) Alessandro Marco Aurelio. Studente in medicina, patriota, nato a Savona il 17 dicembre 1826 da Benedetto e da Onoria Cortese, morto a Genova il 4 maggio 1849.

Amico di Goffredo Mameli, al quale assomigliava fisicamente, ebbe tempra di eroe in diversi episodi di guerra; cadde combattendo nell'insurrezione repubblicana di Genova del marzo-aprile 1849. Il suo nome non figura nella lapide che nel 1897 fu apposta nel palazzo comunale di Savona, dedicata ai caduti delle guerre d'indipendenza, perché morto ribelle alla monarchia di Savoia. Studente della Facoltà di medicina dell'Università di Genova, si affiatò subito con l'ambiente patriottico democratico. Nel marzo del 1848 partì volontario, con la Compagnia degli studenti genovesi, per la Lombardia. Combatté nella I Guerra d'Indipendenza e a Custoza ottenne una medaglia d'argento al valor militare «per avere guadagnato per primo un'altura tenuta dal nemico tra il grandinare delle palle». Aveva frequentato il Circolo Italiano e si era adoperato per la Costituente Montanelli. Nel marzo del 1849, fu tra coloro che animarono l'insurrezione genovese contro il governo di Torino (per capire la sua valutazione della realtà del momento è illuminante una lettera dell'8 marzo 1849 inviata al fratello Filippo, chirurgo maggiore nel 14° Reggimento della Brigata Pinerolo, in Oleggio). Il 28 marzo, alla testa di una trentina di insorti armati, in prevalenza studenti, si diresse a passo di corsa verso il Palazzo Ducale, dove afferrò per il petto il maggiore di piazza Cristoforo Ferretti, gli puntò la spada alla gola e lo trascinò tra i suoi, che gli fecero scorta fino a palazzo Tursi (dove aveva sede il quartier generale della Guardia Nazionale che era insorta), tra gli applausi della popolazione; giunsero allora il sindaco Antonio Profumo e l'intendente Carlo Farcito di Vinea, che cercarono di arringare militi e cittadini, ma furono fischiati e costretti a ritirarsi al piano superiore. Raggiunti però dai rivoltosi, vennero chiusi in una stanza e costretti a ordinare la consegna alla Guardia Nazionale dei forti Sperone, Specola e Begato. Il 31 marzo De Stefanis fece prigioniera la famiglia del comandante del presidio generale Giacomo De Asarta - la quale fu tradotta a palazzo Tursi e tenuta in ostaggio col generale Ferretti - e comunicò al generale che «al primo colpo di cannone che avesse tratto sulla città avrebbe ricevuto la testa del figlio». Il 6 aprile, durante una ricognizione fuori del forte Begato, a Granarolo De Stefanis fu ferito alla tibia della gamba sinistra; venne trasportato all'ospedale militare della Chiappella di Genova e poi in una casa privata dove, dopo otto giorni di atroci dolori, trovò la morte. L'8 aprile aveva scritto al cognato Nicolò Lodolo a Savona: «Ti scrivo poche righe da letto per essere stato ferito nella gamba sinistra il giorno 6 del corrente mese con frattura dell'osso della tibia. Stetti tre giorni dopo che io fui ferito senza punto medicare la ferita e questo è quello che mi fa disperare della guarigione». Quattro giorni dopo, era suo fratello Filippo a scrivere a Lodolo, sottosegretario al Tribunale di Prefettura in Savona: «Ieri entrando in Genova ebbi la dolorosa notizia della disgrazia occorsa al povero Alessandro [...]. Lo trovai assai calmo e rassegnato e pieno di coraggio. Mi raccontò essere stato ferito fin dal giorno sei in Granarolo ed essere stato ricoverato per due giorni nella casa d'un contadino senza essere né medicato ne assistito e senza mangiare proprio peggio d'un cane e colla morte alla gola tutti i momenti perché i soldati piemontesi che lo vedevano volevano ammazzarlo, per fortuna che egli aveva fatto cacciar via e fucile e tutte le insegne di Guardia Nazionale e passò per contadino stato ferito dai soldati della civica. Al terzo giorno, arrivati colà dei cannonieri, fece chiamar il loro ufficiale e gli si raccomandò per farsi trasportare all'ospedale, dicendogli lui esser studente di chirurgia, andato colà per curar dei feriti ed essere stato fucilato dalla civica perché si rifiutò di prender le armi con loro. Portato all'ospedale fu subito ben curato, ma un'infiammazione flemmonosa a tutta la gamba e coscia della gamba sinistra, che penetrò fino all'osso della gamba rompendolo in più pezzi e la palla vi è rimasta e non si poté ancora estrarre quantunque si sia fatta anche un'incisione proprio sull'osso [...]. Io non lo abbandonerò mai un momento [...] ma lui è tranquillo e rassegnato a tutto e si dice martire della libertà, la sua la chiama onorata ferita e se ne gloria, il suo coraggio mi fa proprio stupire e quantunque nelle medicazioni soffra orribilmente, è più lui che fa coraggio a me che non io a lui. Devi sapere in confidenza che si è battuto per tre giorni come un leone e che ha nome d'essere stato dei più coraggiosi e dei più operosi dei genovesi». Il 4 maggio Filippo scriveva ancora a Lodolo: «Il nostro Alessandro ha cessato di vivere questa mattina alle 2 ½ [...]. Ti so dire che fece una morte da vero soldato, tranquillo, rassegnato e pien di coraggio [...] ne' suoi deliri non parlò mai né di temer di morire né di sperar di vivere né di timori religiosi o cose simili, ma invece parlava sempre di guerra, di cannoni e coraggio avanti, presto, prendiamo le posizioni furono le sue ultime parole, e così spirò tranquillamente senza accorgersene [...]. Io gli faccio fare il ritratto e porre una lapide nella chiesa di Oregina dove lo seppelliranno [...]. Credo che gli studenti vogliano far litografare il suo ritratto e stampare la sua necrologia e forse fargli una funzione religiosa». Alessandro aveva scritto di sé: «Mi confermo sempre più nell'idea di repubblicano socialista e prego Iddio a conservarmi sempre lo stesso». Volontario nel 1848, come il suo amico Mameli, ebbe lo stesso destino: morirono alla distanza di due mesi l'uno dall'altro, subirono entrambi l'amputazione della gamba sinistra, nella speranza di bloccare la cancrena. Il fratello Filippo gli fece eseguire un monumento nella chiesa di Oregina con questa iscrizione: «ALESSANDRO DE STEPHANIS DI SAVONA / PROPUGNATORE VOLONTARIO DELL'ITALICA INDIPENDENZA / COMBATTÉ NEL 1848 CON ANTICA VIRTÙ / ED EBBE PREMIO DI VALOR MILITARE. / USCITO ALLA SECONDA PROVA / LO RATTENNE A MEZZO IL CAMMINO LA MISTERIOSA FORTUNA DELL'OPPRESSORE. / FERITO A GENOVA NEI MOTI D'APRILE / PENÒ 28 DÌ / POI LO SPIRITO MAGNANIMO VOLÒ ALLA PATRIA DEI LIBERI PERDONANDO. / ODI LA VOCE DEL SANGUE INNOCENTE / O LIBERATORE SUPREMO». Un olio su tela di autore ignoto lo raffigura sul letto di morte, mentre con la mano destra stringe la medaglia d'argento meritata nel 1848 a Custoza. La città di Genova gli ha dedicato un corso.

Tratto dal Dizionario Biografico dei Liguri, Genova, Consulta Ligure, 1999, voce De Stefanis (De Stephanis)

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