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Home > Il Sacco di Genova: aprile 1849 > Indirizzo di L. A. De-Ferrari al Nazional Parlamento


Nel giugno del 2012 l'amico Luigi Ferrando mi ha imprestato un libretto, stampato nel 1853, i cui estremi completi sono riportati nelle immagini tratte dell'originale e riprodotte qui sopra. Noto subito il refuso nei dati dell'editore: ovviamente la città è GENOVA e non GANOVA, come erroneamente stampato.

Il libretto è interessante perché, tra le altre cose, contiene una valutazione dell'autore circa il Sacco di Genova; ed è questo il motivo per cui lo riporto qui.

[ L'Autore ] [ Il contenuto del libretto ] [ La nota sul 1849 ]

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L'Autore

Purtroppo il Dizionario Biografico dei Liguri, pubblicato dalla Consulta Ligure, non riporta Luigi Antonio De-Ferrari il quale, come si vede dall'immagine del titolo del libretto, scriveva curiosamente il suo nome col trattino. L'unica informazione che ho trovato è che è citato cinque o sei volte a pag. 246 del volume sesto (clicca qui per scaricarlo, 114 MB) della "Bibliografia storica degli stati della monarchia di Savoia" compilata da Antonio Manno, stampata a Torino nel 1898 e reperibile presso il Museo di Torino.

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Il contenuto del libretto

In questo "Indirizzo", rivolto nel 1853 al Parlamento dei Savoia a Torino, Luigi Antonio De-Ferrari si lamenta del cattivo governo torinese che trascura e umilia l'economia genovese. In particolare chiede che si facciano efficaci interventi per il porto.

Il contenuto è piuttosto prolisso in quanto l'Autore si dilunga in considerazioni non sempre di stretta pertinenza. Ad esempio chiarisce cosa sia un buon governo:

Pag. 5 - Un buon governo non si degrada, non si avvilisce non usa parzialità, non commette ingiustizie,ma con legale, savia, studiata condotta, sempre attende de’ cittadini a dominarne il cuore. Egli rende buoni i subalterni amministratori che sceglie fra i migliori, fa contenti e felici gli amministrati, quindi senza armata forza è forte, è amato, è riverito, è rispettato, temuto ed obbedito.

Contrappone poi al buon governo quello cattivo:

Pag. 5 - (...) laddove un cattivo governo (...) abbisogna di raggiri, di dissimulazione, di perfidia, d’astuzia. (...) Carica la nazione di uno sciame d’impiegati e pensionati,che quasi locuste divorano il reddito pubblico, ma che egli vuole sieno ciechi instrumenti a sostegno d’ogni suo mal governo.

Critica la scelta dei comandanti della Marina Militare:

Pag. 10 - Al comando della Militare marina in offesa della ligure nostra, che onorata è fra le prime del globo, con tanto danno eziandio (anche, ndr) del pubblico servizio, e della nazionale gloria, nominati furono nel maggior numero personaggi che il mare lo videro solo da adulti, i quali forse per coraggio e buona volontà eccellenti, ma perché mai fecero in lunghe navigazioni, percorrenti tutti i climi, né mozzo né il marinaro, carriera indispensabile unita alla scienza, a chi sul mare deve comandare, mai seppero sostenerne il decoro, e neppure le più comuni manovre comandare.

Evidenzia la necessità di prolungare il Molo nuovo:

Pag. 12-13 - Genova ha un vasto porto, ma mal sicuro perché è soggetto alle terribili tempeste di S.S.O. Un buon governo non richiesto, e che ricco si era già fatto dei suoi redditi, dovea sollecito ripararlo: ma invece chi il crederebbe? quando queste più infuriarono ed ogni naviglio a soqquadro ponevano, egli indifferentemente dall’alto osservandole, sprecava denaro per fabbricare sopra il di lei capo castelli e fortezze, non la nemico, ma solo a Genova d’offesa (...) Genova non pertanto mai si stancava dal reclamare perché volesse con il prolungamento del Molo nuovo garantirlo da tanto flagello (...)

Sollecita la pulizia del fondale del porto:

Pag. 13 - Genova ha il porto ripieno: ed in luogo di conservare con li necessari fondi tale incombenza a civico magistrato, come da secoli aveva stabilito la prudente sapienza dell’onorando e serenissimo Senato Genovese, per la falsa politica di centralizzare tutto a Torino, ne furono invece incamerati i pochi redditi e trascurato quasi totalmente lo spurgo, in guisa che non possono più approdarvi grosse navi.

Infine riassume così il motivo di questo suo "Indirizzo":

Pag. 21 - Rammenterò pertanto che i lavori essenziali da farsi a Genova sono tre: prolungamento del Molo nuovo, spurgo del Porto e la scelta della località più idonea alla costruzione meno dispendiosa e più comoda del necessario Dock.

Val forse qui la pena ricordare che l'ampliamento ed il miglioramento del porto di Genova si ottenne solo quando il 7 dicembre 1875 Raffaele De Ferrari, Duca di Galliera, offrì al Minghetti, allora presidente del Consiglio, l'ingentissimo contributo di 20 milioni ponendo al governo condizioni precise ad ulteriore vantaggio dello scalo ligure: l'adozione di un progetto gradito all'amministrazione comunale ed agli ambienti commerciali; l'intervento dell'erario per coprire eventuali costi aggiuntivi; la celerità nell'esecuzione dei lavori; la cancellazione di un debito del municipio verso lo Stato per il riscatto della zona portuale lasciata libera dalla marina militare.

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La nota sul 1849

Il commento di Luigi Antonio De-Ferrari sui fatti del 1849 è il contenuto della nota (8) citata a pag. 17 all'interno del seguente, e significativo, testo:

E qui per dilucidare la questione converrà che entri riflessivo e cauto nelle viste del governo, le quali l’esperienza mi consiglia e mi impone crederle sempre al bene di Genova avverse, perloché fu sempre come sopra dimostravo, intento a deprimerla, a minorarla. Infatti col coprirsi egli del mal fondato e preteso timore del carattere, che suppone tumultuante e rivoltoso dei genovesi (8), intende essere misura prudente, (...) col doppio scopo ancora di tenerla sotto il dominio del cannone de’ forti, maggiormente sottomessa e depressa a guisa (imbrividisco a dirlo) d’ubbidiente ed avvilita schiava.

Ed ecco il testo completo della nota (8) alle pagg. 39-41.

(8)  Il movimento occorso in Genova nel 1849 non fu popolare. La città non vi prese parte, e solo fu sostenuto da circa un novecento quaranta entusiasti ed esaltati, che nella maggior parte erano emigrati, fra’ quali molti emissari dell’Austria vi si erano con finto colore uniti. Sa cittadini i quali non ostante che per causa del calcolato rovescio di Novara e del susseguente umiliante armistizio fossero con gran ragione afflitti e malcontenti, pure fu generalmente ed altamente disapprovato; e di questo tumulto, per chi ama il giusto bisogna che il dica, tutto si deve rivoltarne il torto a carico del governo perché poteva e doveva, come universalmente si desiderava, fino da mesi addietro comprimerlo, e con misure ferme, saggie, risolute e di pubblico interesse e quiete, sradicarne le tante cause, che poi Io produssero. Queste che asserisco sono verità appoggiate alla verità della storia; e siccome sempre ho lamentato che Genova è ingiustamente dal governo mal visa, dall’indicato tumulto, a sostegno della mia accennata proposizione, alle già tante addotte, una nuova prova, a comprova maggiore qui ricavar voglio io. E quindi farò considerare che il signor Generale Comandante il corpo d’armata che .marciava. sopra la città per rimettervi. l’ordine, doveva prima ed in ogni modo far osservare alle sue truppe la più severa disciplina, né mai permettere, anzi subito militarmente punire quelle che si fossero abbandonate al brutale e tartarico saccheggio, che eseguirono sotto li suoi occhi su d’inermi e pacifici cittadini, i quali sotto la tutela delle leggi abitavano tranquilli ne' contorni di Genova, e secondariamente non gli era, giusta gli usi della guerra e de' popoli civilizzati, permesso di bombardare una gran città, nella quale sapeva che la massa dei suoi cittadini lungi d'essere in rivola, erano invece dolenti e sofferenti dell’insorto tumulto. Ma in qualunque caso era di preciso suo dovere avanzare prima replicate e perentorie intimazioni al Sindaco ed accordargli inoltre un tempo abile di poter riunire presso di sé i principali abitanti affine che essi stessi calmassero Ie cose. Ma non mai la guerra gli dava il diritto, appena giunto e quando già erangli state abbandonate le porte della Lanterna e le mura, d'aprire il fuoco su di una popolosa città che conteneva infermi, vecchi, timidi e numeroso sesso muliebre, e particolarmente dirigere il fuoco sull’Ospedal grande. Ai militari istruiti e prudenti, che ai doveri del soldato uniscono quelli dell’umanità, doveri che non possono, senza diventar barbari, mai dall’uomo d’onore e filantropico dimenticarsi, mi rivolgerò pregandoli di giudicare se precise ed esatte sono queste mie querele ed osservazioni. Ora poi dopo d’esser stata Genova tanto ingiuriata, depressa e tribolata, dovrà essere ancora considerata tumultuante e per tal ingiusta ed insussistente causa, si vorrà ostinatamente menomarla e con ogni studio del suo antico lustro privarla?

A che servono adunque le scritture, le opere famose dei profondi filosofi? A che giovano le belle e politiche massime insegnate dal sapiente Fénelon? In qual conto si tengono quelle sublimi dal santo libro delle verità (il Vangelo) inculcate? Oh miseria d’umani depravati cuori!! Un cieco antico astio vilissimo ottenebra la luce del vero; e tanti documenti salutari loro nasconde e fa dimenticare.

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