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Giovedì 3 febbraio 2005
Leggi razziali
Filippo Noceti
Carissimi amici,
in occasione dell'anniversario della liberazione degli ebrei detenuti
ad Auschwitz il mondo intero si è nuovamente fermato per condannare e
deprecare le mostruose leggi razziali promulgate anche in Italia, leggi
antisemite che miravano allo scardinamento delle istituzioni ebraiche ed
all'eliminazione di tutti i giudei d'Europa. Ebbene il mondo ha la
memoria corta: il giorno 8 Aprile 1849 sua maestà Vittorio Emanuele II
inviava una lettera al generale Alfonso La Marmora (futuro primo
ministro) con le congratulazioni per avere attaccato la città di Genova
con più di trentamila fra bersaglieri e carabinieri e sedato nel sangue
la rivolta della città. La punizione doveva essere esemplare poiché i
genovesi, il popolo, quello fatto di contadini, operai, lavandaie,
fruttivendoli, artigiani, camalli del porto, borghesi e nobili, aveva
deciso per sé la libertà da uno stato che amava la guerra come
principale strumento delle relazioni internazionali. Vittorio Emanuele è
quello che l'unico libro che avesse mai letto era il codice di guerra. Il
popolo ligure, un popolo da sempre cosmopolita, abituato ad intrattenere
rapporti, indifferentemente con cristiani, ebrei, musulmani, europei,
slavi e quant'altro, voleva ritornare sovrano nella propria Terra.
Riconfermare quel diritto sottrattogli dalle grandi potenze dell'epoca e
far cessare il massacro insensato al quale il re gentiluomo (così
si faceva chiamare) costringeva decine di migliaia di giovani, sotto la
minaccia delle armi dei carabinieri, pronti a sparare ai "disertori" sul
lato "amico" delle trincee. Ebbene in quel documento ufficiale spedito
al generale - carnefice esclusivamente di innocenti ma sempre perdente
sul campo di battaglia e sempre pronto alla fuga - il re fece ricorso ad
una frase precisa:
"VILE E INFETTA RAZZA DI CANAGLIE".
Già, razza, poiché seppur nel suo carattere peculiare cosmopolita,
quella ligure era una razza che proveniva da uno stato pochi anni
addietro cancellato dalle mappe, a tavolino. A quei tempi il termine
razza aveva quindi un senso nella sua accezione più larga ed un senso più grave
assunse riferito ai sudditi di un re che in essi non vedeva un popolo da
governare ma una sorta di plebe sulla quale esercitare il proprio
personale potere. Quella vile e infetta razza di canaglie da sterminare
non appena se ne fosse presentata l'occasione. Perciò io credo che il
popolo ligure, che continua a mantenere il proprio carattere
cosmopolita, abbia diritto di pretendere per se una libertà conservata e
difesa con le unghie per circa ottocento anni, e perduta sotto il peso
dei potenti e non per volere della gente (se non di pochi opportunisti).
Come gli irlandesi, i baschi, i corsi, gli indios sud americani e
tutte le popolazioni che vivono sotto il giogo di un'altra potenza, la
Liguria ha il diritto di ritornare sovrana e noi che qui viviamo abbiamo
il dovere di non tapparci occhi ed orecchie e bollare questo discorso come
un semplice affare da xenofobi o da pazzi leghisti. La ricchezza della Liguria
l'hanno sempre fatta il suo carattere cosmopolita e la sua Libertà, uno
senza l'altro...? Beh, vediamo come stanno andando le cose, potremmo
immaginare come andrebbero se fossimo liberi ma perdessimo la nostra
tradizione di accoglienza.
Purtroppo è una cosa difficile da accettare, specialmente dopo
l'assuefazione data da due secoli di sottomissione, ma tutti i problemi
legati alla nostra società inadatta a risolvere i problemi dei più piccoli,
legati all'incapacità di uno sviluppo, legati all'inadeguatezza di classi
dirigenti imposte spesso dall'alto ed altrove, ci rendiamo sempre più conto
siano semplicemente un problema che ci viene da uno stato che non sa, non
può e non vuole badare a quelle che considera periferie, che invece
potrebbero essere il motore dell'economia, come potrebbe essere una
Liguria ben governata e gestita.
Vi chiedo solo di meditare su queste cose.
Grazie
Filippo Noceti
f.noceti@virgilio.it
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