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Rivista storica n. 4, 1994

Genova e i Bersaglieri

Per la terza volta nella storia nazionale i Bersagiieri aftluiranno a Genova in grandi ondate, fra il 5 e l'8 Maggio. Quella che in ordine cronologico è stata la prima invasione bersaglieresca di Genova ha però avuto aspetti drammatici. È una storia vecchia di quasi un secolo e mezzo, ma ha lasciato nel corpo vivo della città una ferita mai completamente rimarginata.

Eccoci alla fine di Marzo 1849: confusione a Genova, turbamento e timore per l'esito sfortunato della prima guerra per l'Indipendenza; l'armistizio con l'Austria ritenuto disonorevole; l'abdicazione del re Carlo Alberto. Si parla di tradimento, si teme un'invasione austriaca. Esplodono le ire represse: l'avversione genovese per la monarchia; la radicata tradizione repubblicana; il rammarico per la maldigerita consegna della città al Piemonte, decretata senza ragione e legittimità dal Congresso di Vienna solo trent'anni avanti; il malcontento per la crisi economica dovuta al porto che non lavora a seguito della miope politica protezionistica voluta a Torino.

Da parte piemontese uno scritto del generale Alfonso La Marmora vale a chiarire uno stato d'animo sfociato nel dramma: "I cittadini di Genova erano facinorosi, ribelli, demagoghi, disonesti e senza disciplina. Si erano messi fuori legge e per farveli rientrare si aveva non solo il diritto, ma il dovere, di impiegare la forza; si doveva assalirli come fossero austriaci o peggio".

Se ne deduce che il generale, comandante la VI Divisione dell'Esercito piemontese, era convinto che una ribellione di Genova era addirittura da augurarsela, per avere così il pretesto per una dura repressione.

Il 25 Marzo viene deliberato lo stato d'assedio dal generale Giacomo De Asarta, comandante il presidio del regio esercito, mentre il console britannico Brown minaccia di far aprire il fuoco sulla città con i cannoni del vascello "Vengeance", d'ancora davanti ai porto. Il municipio costituisce un triumvirato per governare Genova ormai in tumulto. Ne fanno parte il generale Giuseppe Avezzana comandante la Guardia Nazionale, l'avvocato Daniele Morchio, il giornalista Costantino Reta. L'ira del popolo cresce, i camalli del porto si armano e infine alle ore 16 del 31 Marzo aprono il fuoco sulla città. È l'innesco della furia popolare e incomincia per le vie di Genova la caccia al regio. Viene massacrato un doganiere, poi un poliziotto, infine un gruppo di popolani, riconosciuto il maggiore dei carabinieri Angelo Ceppi in abiti borghesi, lo linciano. È ormai guerra civile, lotta feroce. Anche i frati Cappuccini, e fra questi lo stesso Francesco Maria da Camporosso, il "padre santo" destinato alla beatificazione, assistono i combattenti, ne curano i feriti, ne seppelliscono i morti.

Le ossa di duecentocinquanta genovesi, fra i quali non pochi bambini, sono ancora custodite nella cripta della chiesa alle spalle di piazza Corvetto. A cavallo, in testa alla guardia nazionale, il generale Avezzana carica, in via Balbi, carabinieri e granatieri del Regio Esercito. Il 2 Aprile i piemontesi del presidio genovese si arrendono, depongono le armi, escono dalla città, si dirigono verso Ronco dove, nello stesso giorno, arriva il generale Alfonso La Mannora alla testa di un corpo di spedizione di venticinquemila uomini, di cui fa parte anche il fratello Alessandro, fondatore dei Bersaglieri, fra i quali gode di larga popolarità. Due reggimenti di fanteria, uno di cavalleria, reparti di artiglieria e del genio costituiscono la colonna La Marmora, il cui ferro di lancia è formato da due battaglioni di bersaglieri. Per valutare le forze in campo si tenga conto che Genova aveva, allora, 98.000 abitanti e che il contingente dell'esercito piemontese che verrà inviato in Crimea nel 1855 avrà una forza di 18.000 uomini. A quanto pare i genovesi armati erano meno di diecimila, ma avevano occupato i forti e si apprestavano alla difesa.

La Marmora attacca il 4 Aprile, contemporaneamente agli inglesi della "Vengeance", che bombardano i quartieri occidentali e sbarcano un reparto al Molo. Il giorno 5, giovedì santo, i bersaglieri conquistano forte Begato e La Marmora ordina di battere con i mortai il centro urbano. Pioggia di granate sull'ospedale di Pammatone, 107 cadaveri vengono raccolti dai Cappuccini che identificano le salme e ne compilano una lista, tutt'oggi custodita nell'archivio del convento. Della guarnigione di Begato fa parte lo studente in medicina Alessandro De Stefanis, patriota di Goffredo Mameli, che partecipa a uno scontro con un reparto di bersaglieri, resta ferito, viene nascosto in un capanno, è scoperto, maciullato e baionettato. Morirà dopo 28 giorni di agonia atroce. È ricordato da una lapide nella chiesa di Oregina e da una strada cittadina: corso De Stefanis, vicino allo stadio Marassi. Solamente l'11 Aprile la lotta si spegne, i genovesi sopraffatti, i regi sono padroni della città, dopo aver perduto 500 soldati tra morti e feriti. Mai esattamente valutato il numero delle vittime civili, che peraltro ammonta a diverse centinaia.

A 145 ami di distanza sorprende la furia che caratterizzò quella breve guerra civile: corpo a corpo furiosi, saccheggi, rapine, prigionieri soppressi, chiese e conventi profanati, fucilazioni senza processo, lo stesso generale La Marmora uccise di sua mano un popolano catturato. Numerose sentenze di morte vennero emesse dai regi tribunali contro i cittadini genovesi, ma furono condannati anche i militari colpevoli di omicidi, stupri e rapine. Nella relazione ufficiale compilata dal Municipio per chiedere al governo il risarcimento dei danni, si elencano 463 casi documentati di violenza perpetrati dalle regie truppe ai danni della popolazione civile.

Da allora molta acqua è passata sotto i ponti del Bisagno e del Polcevera, molta storia si è stratificata negli annali nazionali, ma Genova è l'unica fra le maggiori città italiane a non essere stata mai sede di un reggimento di bersaglieri e i giovani di leva mai venivano assegnati a questo corpo, se non su richiesta.

Nel 1938 venne infranto il diaframma che separava Genova dai Bersaglieri: il raduno nazionale si svolse nel capoluogo ligure e infine ecco, nel 1994, che i Bersaglieri affluiscono a Genova per la terza volta. In centoquarantacinque anni e sei guerre sanguinose i Bersaglieri si sono battuti sempre, e con valore, su tutti i campi di battaglia e tra le loro file non mancavano i genovesi, anche se la tradizione non favoriva il loro arruolamento nel Corpo. Il drammatico conflitto del 1849 si è allontanato nel tempo, le tinte sanguigne dell'antico affresco si sono attenuate. I Bersaglieri giovani e veterani convenuti a Genova per il 42° raduno nazionale vedranno, conficcata nella facciata della casa numero 23 di via Porta Soprana, una palla da cannone: è il ricordo lasciato dai commilitoni di centoquarantacinque anni fa.

Massimo Zamorani

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