[ Indietro ] Il Secolo XIX Domenica 19 dicembre 1999Dagli anni Settanta al Duemila aspettando di rialzare la testa
Su la coda. Mai esortazione fu più indovinata per una città che piange da sempre la propria decapitazione, e in quel suo essere senza testa (politica, industriale, culturale) trova spesso gli alibi per rassegnarsi a vivere. Su la coda: e finalmente si potrà, senza imbarazzo e anzi con orgoglio, guardare indietro anzi che avanti. Il primo a riflettere sullo stemma, croce di San Giorgio e grifoni rampanti, fu il sindaco socialista Fulvio Cerofolini. Alla fine degli anni Settanta la crisi soffiava forte sul porto, sull'acciaio e sulle colline del ponente consegnate alla speculazione edilizia: il primo cittadino insorse, reclamando giustizia per le code abbassate dai Savoia. Un gesto simbolico, spiegò: un gesto che doveva testimoniare quanto la città si sentisse al passo coi tempi. Negli anni Ottanta la città fu distratta dal rampantismo degli uomini e dimenticò quello dei grifoni. Ma nel 1990 Ernesto Bruno Valenziano, allora vicepresidente liberale della Regione, si rese conto che le Colombiane si avvicinavano. Poteva Genova presentarsi agli occhi di tre milioni di visitatori, quanti erano attesi, con la coda fra le gambe? «Caro sindaco - scriveva Valenziano all'erede di Cerofolini, il repubblicano Cesare Campart - questa è l'occasione per far riemergere l'orgoglio frutto di sconfitte subite e umiliazioni sofferte nei secoli andati». Campart snobbò il suggerimento e forse anche per questo le Colombiane aggiunsero, se mai ce ne fosse stato bisogno, un'altra sconfitta e un'altra umiliazione alla serie. Ma quando il suo successore (il socialdemocratico Romano Merlo) mentì sul successo della manifestazione, moltiplicando i visitatori che anziché milioni erano risultati poche centinaia di migliaia, fu chiaro a tutti che sulle code tra le gambe era meglio soprassedere: avessero potuto, i grifoni sarebbero sprofondati sottoterra. Ora, a pochi giorni dal Duemila, è il sindaco Pericu a rievocare quel torto subito per mano dei Savoia, e a rendersi conto che per vincere le sfide del nuovo millennio bisogna darsi una mossa a cominciare dai simboli. Perbacco: già San Giorgio che campeggia sul gonfalone è un santo che non esiste, nel senso che la Chiesa non lo riconosce. Già i grifoni calcistici inanellano una brutta figura dietro l'altra. Già qualche buontempone ha cominciato a insinuare che il basilico fa male alla salute, dopo aver permesso che nel pesto infilassero il prezzemolo e gli anacardi e l'olio di palma. Vogliamo ribellarci? Vogliamo, se non proprio la testa, rialzare la coda? Naturalmente non finirà qui. Si presume che i monarchici, già irritati per l'illuminazione natalizia del monumento a re Vittorio Emanuele II in piazza Corvetto, insorgano contro questo ennesimo affronto alla maestà dei Savoia. E gli studiosi di araldica si scaglino contro l'ultimo tentativo di revisionismo storico che sarà sicuramente definito, come vuole la formula di rito, goffo e strumentale. La battaglia coinvolgerà comunque solo l'élite intellettuale. Perché da un punto di vista pratico i grifoni, diciamolo, hanno un contatto quotidiano con la cittadinanza solo alla fermata dell'autobus. Dove si esibiscono al centro della fiancata arancione dei mezzi pubblici in arrivo e in partenza ma non suscitano, a differenza dei ritardi e del sovraffollamento, commento alcuno. Del resto: sono i leader che inventano gli slogan. Che riassumono in brevi parole un obiettivo, una concezione politica e un'idea del mondo. Su la coda, Genova. Su la coda. Paolo Crecchi [ Indietro ] |