Caro Maggiani, ai Savoia abbiamo già dato
GIOVANNI REBORA
Caro Maggiani, ti ringrazio per avermi quasi invitato
ad intervenire su una questione che, personalmente, non mi importa per nulla,
ma che mi fa pensare a quel rifiuto della storia che sembra radicarsi sempre più
nell'incultura del nostro mondo.
Quando il Congresso di Vienna (1814) decretò la fine delle Repubbliche
di Genova, di Lucca e di Venezia, quelle Repubbliche non erano affatto in
declino: furono debellate da forze militari preponderanti. In una Europa
infestata da Re di origine germanica, non doveva esserci posto per
Repubbliche, e tanto meno per Repubbliche ricche, finanziariamente più
potenti di qualsiasi reame. Così Genova venne aggregata agli Stati Sardi
di Terraferma sotto la corona del Re di sardegna. Nessun plebiscito
sanzionò l'annessione.
Ogni volta che vedo e sento parlare di Genova o di Venezia alla
televisione, spunta uno che parla di decadenza e di declino, ti pare che
in un mondo in declino qualcuno si farebbe rinfrescare la casa da Tiepolo?
Ti pare che una famiglia in piena decadenza si faccia venire la voglia di
aggiungere due ali al palazzo, di farsi costruire un gran palazzo di
villa, ecc.? Come mai a nessuno, prima dell'arrivo del liberatore
Napoleone e poi dei Savoia era saltato in mente di emigrare? Non mi si
parli di mutate condizioni economiche: l'industria arriva tardi e in
dimensioni minime per cui l'emigrazione non sembra legata a mutazioni
profonde di «modi di produzione». Il fatto è che con Napoleone prima e
con i Savoia poi, la gente si vedeva sequestrare i muli per l'esercito,
doveva nutrire le truppe, pagare le tasse anche se povera (magari sul
macinato), doveva mandare i figli a servire il Re (8 anni).
Se i figli vanno in guerra la terra chi la lavora? Ma erano guerre
d'indipendenza, santo cielo! Indipendenza da chi? La Savoia non era
all'estero? Genova e Venezia e il Regno di Napoli esistevano quando i
Savoia erano ancora conti montanari.
Nel 1849 la ribellione di Genova, dopo la sconfitta di Novara, viene
repressa nel sangue dalle bande di avanzi di galera del generale La
Marmora, che a Novara scappò come un coniglio, ma a Genova seppe uccidere
decine di ortolani di San Teodoro, stuprare e devastare al grido di dov'è
balilla. Quella repressione è stata perdonata ma non è stata
raccontata. Nei libri di storia non è mai entrata, Così come non si è
mai detto che la rivolta del 1746, quella di Balilla, non era contro gli
austriaci, ma contro le truppe del Savoia.
Nessuno aveva mai prestato servizio militare per conto della
Repubblica, ma quando si presentarono le occasioni fu la stessa
popolazione a provvedere alla cacciata degli uomini in divisa che
depredavano la loro terra (vedere Santuario della Vittoria, ai Giovi e
ricordare Balilla). Dopo l'arrivo dei Savoia i figli dovevano andare a
servire il Re, i muli potevano essere sequestrati per farli inutilmente
morire in guerra o di denutrizione nelle scuderia dei «quartieri»: senza
i figli la terra non si lavora, senza animali si diventa poveri.
Tieni conto, Maggiani, ma tu lo sai, che dopo la brumal Novara, la
nostra gente è andata a farsi ammazzare due volte a Custoza, con
l'intervallo della Crimea e con l'imbecille impresa di Adua e poi della
Libia prima di intervenire nell'inutile strage del 1915/18, l'Africa
Orientale, l'Albania, la Spagna ed infine l'ultima guerra con i suoi
cinquanta milioni di morti. Come mai di questi crimini nessuno si pente?
Perché non si dice, almeno, che l'arretratezza del Paese non è affatto
conseguenza della «mancanza di materie prime» né di altre balle del
genere, ma delle guerre inutili che hanno ammazzato milioni di persone
facendo sì che «abbandonassero la campagna», come se fosse colpa loro!
Perché non si dice che le risorse, che erano tante, sono state gettate in
guerre destinate solo a «far grande la Casa regnante»? Quant'è costata
la battaglia (ovviamente persa) di Lissa? E chi ha pagato? In ogni paese
anche minuscolo ostentiamo monumenti ai caduti con lunghi elenchi di nomi
di giovani, tutti giovani che hanno abbandonato l'agricoltura, signori
economisti!
Nei primi anni dell'annessione (1814), alcune persone che avevano
parteggiato per i francesi ed alcuni repubblicani troppo esposti presero
la via delle Americhe. Dopo il 1849 molti tra i rivoltosi sopravvissuti se
ne andarono in America e costruirono parte di San Francisco, il mercato,
la Bank of America e diedero il massimo contributo alla costituzione del
partito repubblicano. Erano artigiani, intellettuali, commercianti,
ortolani, pescatori e maestri d'ascia; non erano poveri allo sbaraglio,
non si sentivano italiani, ma genovesi, monferrini, langaroli e lucchesi
che avevano portato altrove il loro sapere.
Tu che sei più giovane di me ricorderai di sicuro i tuoi libri di
storia. Io dovetti recitare a memoria «la sagra di Santo Gorizia»
all'esame di terza media. La guerra era appena finita, ma la sensibilità
dell'insegnante ci fece mandare a memoria la brutta esaltazione di un
massacro demenziale guidato da dementi. L'inutile strage denunciata da
Benedetto XV (non a caso genovese) non è mai ricordata con quelle parole,
né sono mai ricordate le parole pronunciate in parlamento da Benedetto
Croce contro l'istituzione della festa del IV novembre: «...non si
festeggia il massacro di seicentomila giovani e di un milione di
feriti...». Credo anche che pochi conoscano la lettera di Carducci «per
i morti di Adua», né avrai trovato nei tuoi libri i cannoni di Bava
Beccaris, a te noti per altre ragioni che forse non riesci a collegare con
il nomignolo di Re Buono appioppato ad Umberto I da schiere di imbecilli.
Hanno mandato a morire, durante la loro ingloriosa storia, milioni di
giovani al grido di Savoia! hanno trasformato in assassini migliaia di
giovani che avrebbero lavorato la loro terra, (anche i morti degli
altri sono «caduti»), ma a noi della storia non importa. Noi
continuiamo a credere che la «decadenza» cominci nel Cinquecento per
inoltrarsi fino al «declino» del Settecento. No, la decadenza comincia
con Napoleone e raggiunge l'acme con la casa di Savoia, quando arriva
anche l'arretratezza.
Se davvero torneranno in Italia, almeno non vengano a Genova.
Il Secolo XIX
Giovedì 20 luglio 2000
Il mio bisnonno, i Savoia
e un'Italia senza memoria
MAURIZIO MAGGIANI
Il padre di mio nonno è morto a Milano. Era arrivato fin là spinto dalla fame,
ed è finito in pezzi, sfracellato dai colpi di cannone del generale Bava Beccaris
mentre dimostrava pacificamente contro le reali tasse affamatrici. Grato per aver
ripulito le piazze dagli affamati - e dal mio bisnonno - il re d'Italia ha
insignito il suo generale delle massime onorificenze del regno. Quando mi capita
di andare a Carrara cerco sempre di avere un poco di tempo per passare dal
cimitero a salutare la statua di Gaetano Bresci.
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Posso dire con questo che l'anarchico Bresci ha chiuso un conto tra me e la
famiglia reale sabauda? O devo forse ammettere che questo conto è tuttora aperto?
In coscienza, devo rispondere di no. Non ho alcun sospeso con i re d'Italia. I
miei conti, tutti, sono ancora aperti, sì, ma con la storia. La storia del mio
Paese, la storia degli uomini. Subìta e interpretata. Tragedia, bellezza, orrore,
salvezza, infamia e onore. Nella storia ci sono io e c'è il re, ci siete voi e
c'è il mio bisnonno con i suoi compagni di fame; c'è questa repubblica e quel
regno, e molto altro ancora, naturalmente. La storia è una ferita bruciante e
una porta aperta su un orizzonte. Né l'una né l'altra si chiuderanno mai, perché
ciascuno di noi ha un mandato ineludibile: il dovere della memoria. Dolore di
dovere e di speranza che cesserà solo quando cesseranno gli uomini. Rinunciare
a questo mandato significherebbe, semplicemente, sprofondare nel nulla, sparire
dalla faccia della storia per dileguarsi nell'incoscienza e nell'irresponsabilità.
Ecco allora che mi prende una grande angoscia circa i Savoia. E non riguarda
affatto loro, la concessione della residenza nel mio Paese a ciò che resta dei
vecchi re d'Italia. Figuriamoci! Come se già non risiedessero qui da noi, liberi
e onorati, trafficanti d'armi, damerini e reginette in quantità. No, non ho conti
in sospeso con quella famiglia. Mi angoscia invece l'infinita diceria che
l'accompagna, la brillante superficialità, la svagata smemoratezza, la mondana
sciatteria, la caparbia elusione del problema che la questione sottende. L'unico
vero possibile problema. E cioè: è questo Paese cosciente e padrone della propria
storia? Assolvono la sua gente e le sue istituzioni il mandato della memoria?
Se sì, allora i Savoia sono stati un problema a suo tempo e adesso sono niente.
Se no, allora altro che norme transitorie, nemmeno un Dio potrà salvarci dalla
nostra irresponsabilità.
Ho visto che si sta svolgendo una specie di pubblico concorso tra i membri
della famiglia Savoia a chi mostra maggiore pentimento e sincerità nell'ammissione
delle colpe storiche degli antenati. Escluso il fatto - gravissimo - che il nonno
metteva le corna alla regina consorte, e il nonno - responsabilità tutto sommato
minore - ha firmato la resa incondizionata di uno Stato democratico nelle mani
del Cavalier Benito Mussolini, mi sembra che non sia stato tralasciato nulla.
Ah, sì, Bava Beccaris, forse, e il mio di bisnonno. Cionondimeno stanno dicendo
più di quanto in effetti gli sia richiesto dall'opinione pubblica, o sedicente
tale. Stanno, loro, ripassando la storia, a modo loro, per noi. Potevamo farlo,
poteva essere una buona occasione perché rivedessimo, responsabilmente, con
coscienza e sincerità, i punti tragicamente o felicemente salienti della storia
che ha fatto di noi ciò che oggi siamo. Niente, niente di niente, mi pare.
Ad esempio, ho sentito citare qua e là, a proposito dei meriti dei nostri
vecchi re, l'espressione “unità d'Italia”. È dal modo, dagli intenti e dagli
esiti di quel grande fatto che hanno avuto origine alcuni dei problemi più
duri di questo Paese, oggi: tensioni eversive, isolazionismo, sottosviluppo,
antistatalismo, contropoteri criminali. Vi risulta che qualche emittente televisiva
ci abbia fatto uno special di prima serata?
Qualche opinionista accreditato un fondo di grande respiro? Non sui principini,
capite? Ma sulla ragione di essere di questo Paese. Di questa repubblica. Di cui
in parecchi se ne fregano a tal punto da volerne abolire la ricorrenza. Così,
mentre in Francia il 14 di luglio ha festeggiato la presa della Bastiglia - e la
conseguente espulsione violenta e sanguinosissima della monarchia dalla sua storia
- con un immenso, festoso, gioioso picnic, noi il 2 giugno abbiamo messo su una
sfilata militare. Per ricordare che l'ideale repubblicano ha necessità di essere
ancora difeso dal popolo in armi? Non mi pare; forse invece perché giocare con i
soldatini attira ancora un po' di gente. E l'interesse dei media.
P.S.: A proposito di eredi e di storie d'Italia. Perché ancora non si è
chiesto a quelli di Giuseppe Garibaldi, l'eroe dei Due Mondi, il Padre della
Patria, la restituzione, con i debiti interessi, dei milioni che Egli, occupata
Palermo, prelevò dal Banco di Sicilia come prestito per spese di guerra? Lo
fece questo prelievo con il suo solito impareggiabile impeto rivoluzionario e
si dimenticò di restituirli. Dato che il Banco di Sicilia - quello, non questo
- era un istituto di credito niente affatto malaccio, c'è da supporre che
quella ingente somma avrebbe potuto generale investimenti e sviluppo assai
più significativi di quanto non abbia saputo fare la repubblicana
chiacchieratissima e ormai estinta Cassa del Mezzogiorno.
Maurizio Maggiani
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