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dal M.I.L.
STORIE
D'ITALIA Gli splendori della Superba: la città marinara ai tempi
di Andrea Doria e dei suoi successori costituì uno dei capisaldi della potenza
spagnola nel continente europeo
GENOVA La leggenda
della Repubblica d'oro
La città di mercanti, banchieri e condottieri che
tenne in pugno re e imperatori
di ALBERTO TENENTI
La capitale ligure è ben nota per essere stata una delle quattro
repubbliche marinare d'Italia e anzi una delle maggiori. La sua
eccezionale parabola fu quasi parallela a quella delle altre fino al
Trecento, quando i destini di tutte e quattro si fecero senz'altro
divergenti. Amalfi era nettamente decaduta, Pisa sottomessa a Firenze
all'inizio del Quattrocento. Rimanevano indipendenti, ma dall'assai
diversa prosperità appunto Genova e Venezia. La seconda rimase saldamente
ancorata ai suoi traffici con il levante e dal Quattrocento legata a un
assai vasto retroterra italiano, che si era conquistato. A Genova
sconfitta di misura in Levante dopo epiche campagne navali, con le sue
esigue Riviere restò la povera Corsica. In compenso i suoi imprenditori e
i suoi mercanti si volsero sempre più verso la penisola iberica, che
sarebbe divenuta la sorgente del loro grande ruolo internazionale nel
corso di tutto il XVI secolo.
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«La resa
di Breda» con il
genovese Ambrogio Spinola, Comandante supremo delle truppe spagnole,
immortalato dal Velasquez |
In Andalusia ed in particolare nella sua piazza emergente di Siviglia i
genovesi si seppero progressivamente affermare come banchieri e abili
protagonisti di operazioni commerciali. Certo là non erano i soli,
affiancati sia da vari operatori economici fiorentini che soprattutto da
uomini d'affari della ricca Germania meridionale. Era una concorrenza che
si sarebbe poi risolta a favore dei liguri verso la metà del Cinquecento,
a colpi di appoggi principeschi.
I re spagnoli, dopo essersi affermati espugnando l'ultimo regno
musulmano della Penisola iberica - quello di Granada - nello stesso 1492,
grazie a un genovese, divennero i primi sovrani europei a piantare le loro
insegne sul continente americano.
Nel '500
i legami con
Carlo V si erano
fatti stretti |
Nella convenzione di Madrid del 1528 Carlo V, imperatore e re di
Spagna, accordava ai genovesi piena libertà di commercio e pari diritto
con gli stessi spagnoli in tutti gli Stati da lui dipendenti. Pressoché
contemporaneamente Andrea Doria ritirava la flotta dall'assedio in cui i
francesi stringevano Napoli e passava così dalla parte dell'imperatore.
Per quanto le inimicizie interne fra grandi famiglie e fra ceti
cittadini non venissero affatto messe a tacere, per circa un secolo da
allora la capitale ligure venne a costituire uno dei capisaldi della
potenza spagnola nel continente. Alla testa di quel partito rimase a lungo
lo stesso Andrea Doria, che trasmise poi il potere ad altri membri della
sua famiglia. Il valoroso ammiraglio, come altri armatori genovesi, mise
le proprie galere a disposizione degli spagnoli. Fu ad esse d'altronde
che, per evitare di attraversare il territorio francese, venne affidato
assai presto il compito di trasportare metalli preziosi dello stato
spagnolo da Barcellona al porto di Genova.
Nella sfera degli affari, già prima del 1528 i legami finanziari tra
le famiglie di banchieri genovesi e l'impero di Carlo V si erano fatti
sempre più stretti e anche questo contribuì alla decisiva svolta di
quell'anno. Adamo Centurione, vissuto tra l'inizio del Cinquecento e il
1568, fu quasi sicuramente il primo a stabilire contati finanziari con il
giovane imperatore, prima di diventare uno dei suoi principali fornitori
di capitali. Attivissimo nei commerci con la Spagna, nel 1549 egli vi
acquistò per 800mila monete d'argento il marchesato di Estepa e Padrera,
segno tangibile dello sviluppo della sua ascesa economico politica. Il
Centurione era molto vicino ad Andrea Doria, così come Agostino e
Battista Spinola, altra grande famiglia di uomini d'affari.
Come si è accennato, i banchieri germanici Welser e soprattutto Fugger
occuparono i primi posti nelle finanze spagnole durante la prima metà del
Cinquecento. La situazione però non tardò a cambiare a favore dei
liguri. L'influenza dei tedeschi subì un colpo nel 1556 quando la corona
spagnola di Filippo II per volere di Carlo V, che abdicava, venne a
trovarsi separata da quella del fratello Ferdinando designato imperatore.
La successiva crisi del Tesoro iberico negli anni 1557-1559 contribuì a
rendere sempre più effettivo il controllo esercitato dai banchieri
genovesi, in particolare quello di Adamo Centurione e della sua cerchia.
Tra i magnati di questo periodo andrebbe ricordato anche Tobia
Pallavicino che fece costruire dall'architetto Galeazzo Alessi il suo
omonimo splendido palazzo.
Una famiglia che seppe, fin da subito, trarre notevoli vantaggi dalla
nuova influenza spagnola fu quella dei Grimaldi. Era un'antica dinastia
che non poco, in passato, aveva sofferto delle discordie politiche interne
che hanno caratterizzato a lungo la vita della comunità genovese. Proprio
esse, e in particolare con l'esilio di uno di Franceschino Grimaldi nel
1297 durante le lotte tra Guelfi e Ghibellini, erano state all'origine
della signoria del ramo primogenito della famiglia Grimaldi a Monaco. Nel
1512 il re di Francia Luigi XII riconobbe l'indipendenza del principato,
che per maggiore sicurezza si pose sotto la protezione della Spagna.
Intanto, vari e importanti membri della famiglia Grimaldi erano rimasti a
Genova. Gerolamo Grimaldi figurava tra i cittadini più ricchi ed era un
fortunato banchiere di Carlo V, mentre Nicolò Grimaldi fu principe di
Salerno, duca di Eboli e marchese di Diano. Detto il Monarca per le sue
fastose ricchezze, egli si fece costruire il superbo palazzo, che dopo
essere passato ai duchi di Tursi, è divenuto sede del municipio di
Genova. Verso la fine del Cinque cento erano almeno diciotto i Grimaldi
impegnati in Spagna: tre ne traevano le rendite fra le più ingenti degli
uomini d'affari genovesi.
La vera e propria supremazia finanziaria genovese prese piede negli
anni Settanta del Cinquecento e risultò legata ancor più di prima alla
congiuntura politico-militare europea.
Con la vittoria di San Quintino (10 agosto 1557) il re di Spagna
Filippo II si era imposto quale monarca dominante sulla scena occidentale.
Gli unici in grado di approvvigionare Filippo II in modo soddisfacente
erano appunto i banchieri della capitale ligure, che, oltre a manovrare
con ampi profitti le disponibilità dello stesso Filippo II, non esitarono
evidentemente a investire anche i capitali loro propri, per accrescerne il
rendimento. Ma proprio per le prospettive di guadagno che si aprivano a
Genova, vi affluivano altri consistenti risparmi e depositi provenienti
dalle città italiane e spagnole. Così la piazza si trasformò per parecchi
decenni in un gigantesco crogiuolo in cui venivano manipolate le ricchezze
di due continenti. I rapporti tra i banchieri genovesi e il governo spagnolo
furono certamente tutt'altro che idilliaci, poiché esso subiva il salasso
finanziario del tutto di malavoglia e anche per ridurre l'entità delle sue
perdite non esitò a dichiarare bancarotta nel 1575, nel 1596, nel 1607 e nel
1627. Ma quanto fossero praticamente indispensabili i capitali genovesi alla
Spagna lo dimostra un episodio molto significativo.
Spinola ottenne
il comando
supremo delle
truppe iberiche |
Nel 1575 Filippo II, largamente scontento, prese la risoluzione di non
rivolgersi più a loro. Per rappresaglia essi riuscirono a bloccare i movimenti
di oro sulla piazza di Anversa: i soldati ricevettero sempre meno le loro
paghe finché inferociti si ammutinarono e si rifecero sulla città
saccheggiandola a lungo nel novembre del 1576. Il re si rassegnò allora a
cedere alle esigenze dei banchieri liguri. Sotto questo riguardo è notevole
che dal 1603 lo stesso comando supremo delle truppe spagnole venisse affidato
al condottiero genovese Ambrogio Spinola, che l'anno precedente aveva messo
in campo diecimila uomini assoldati a proprie spese. Fino al 1607 fu
l'animatore della rimonta delle fortune militari spagnole.
Lungo tutto il Cinquecento la società genovese aveva espresso una
così eccezionale somma di energie, che ne aveva fatto una delle
protagoniste della storia europea. I suoi grandi banchieri avevano
continuato in buona parte a dedicarsi anche ai negozi mercantili secondo
l'antica tradizione, ma si erano mostrati assai più sensibili di prima al
prestigio dell'arte.
Un certo numero di essi non esitò a intraprendere in due quartieri
contigui la costruzione di maestosi palazzi cosicché Pieter Paul Rubens
poté proporli alle città dell'Europa settentrionale come modelli da
imitare.
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