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Il Secolo XIX
Venerdì 7 gennaio 2000
Il 7 gennaio 1815, dopo il Congresso
di Vienna, i Savoia occupavano Genova
L'ultimo Natale
della Repubblica ligure
Ogni anno, e anche oggi (ore 17 nella
chiesa dell'Annunziata), circoli autonomisti a Genova ricordano con una
messa i caduti della Repubblica. Al di là delle nostalgie, ricostruiamo
quel Natale del 1814 in cui il governo provvisorio ricevette a Palazzo
Ducale la notizia della decisione delle grandi potenze di annettere la
Liguria al Regno Sabaudo
ANTONINO RONCO
La fine della Repubblica di Genova avvenne in un'atmosfera surreale
tra l'angoscia dei governanti, l'attonito silenzio della cittadinanza
e il festoso concerto delle campane annuncianti la nascita del Redentore.
Erano giorni e giorni che si attendevano le decisioni del Congresso di
Vienna e, da giorni e giorni, i senatori più solerti non lasciavano il
Palazzo Ducale se non per presenziare ai Devoti tridui, indetti dal governo,
sull'esempio di quanto avevano fatto i predecessori nei momenti più gravi
della storia della Repubblica.
L'alba del 25 dicembre 1814 era sorta senza il via vai natalizio:
pranzi, banchetti, riunioni, funzioni tutto sembrava far parte di un
altro mondo, mentre si avvertiva l'addensarsi dell'uragano. I cittadini
più consapevoli si rifugiavano nella famiglia, altri affollavano le
chiese; nel grande palazzo deserto pochi uomini si aggiravano per i
saloni silenziosi spiando, dalle alte finestre, l'arrivo di messaggeri
nel cortile degli svizzeri.
Intanto, attraverso la pianura Padana, accompagnata dalle campane
di Natale, era in corso una gara tra due corrieri: uno inglese e uno
genovese che, a briglie sciolte, tentavano di arrivare primi, per onore
di bandiera, a portare la tanto attesa notizia che, al momento, né l'uno
né l'altro sapevano se buona o cattiva. A Novi pare che arrivasse prima
il genovese, ma aveva poca importanza.
Girolamo Serra, l'ultimo presidente della Repubblica Ligure e
presidente del governo della nuova, effimera, Repubblica di Genova,
era al suo posto. Arrivarono i corrieri: uno consegnò il suo plico
al presidente; l'altro al colonnello Dalrymple, cui lord Bentinck
aveva affidato il comando delle truppe inglesi che presidiavano Genova.
Il colonnello scrisse subito a Serra che, l'indomani mattina, si sarebbe
presentato a Palazzo con un dispaccio importante e che sarebbe stata
opportuna la presenza dei senatori.
Il 26 mattina, mentre dalle chiese vicine giungevano i rintocchi
che chiamavano alle messe, i senatori, cupi, taciturni, già presentendo
ciò che li attendeva, salirono lo scalone e si riunirono nel loggiato.
Dalrymple arrivò puntuale: la cronaca di quella riunione ci è stata
tramandata, nelle proprie Memorie, dallo stesso Girolamo Serra e nulla,
forse, più delle sue parole potrebbe restituirci il pathos di quell'ora
drammatica. «Parmi ancora di vedere, all'ora assegnata - scriverà in
seguito - il colonnello entrare in anticamera in grande uniforme,
avvicinarsi al caminetto e, di faccia al Presidente, sedersi. Erano in
giro secondo l'ordine dell'età i senatori Antonio Dagnino, Francesco Pico,
Ippolito Durazzo, Giovanni Quartara, Luca Solari, Agostino Pareto: i
rimanenti, o non ricevuto o trascurato l'invito del loro Capo, ne
lasciarono ai posteri il loro rincrescimento. In fondo all'anticamera
stavano in piedi gli Agenti, gli Amanuensi, i Portieri del Senato,
uomini tutti pieni di zelo e di cordoglio».
Dopo un rapido scambio di saluti l'ufficiale inglese disse di dover
partecipare al senato un dispaccio ricevuto da milord Caslereagh,
rappresentante britannico al Congresso di Vienna, e prese a leggerlo
in lingua italiana, a bassa voce, saltando i preamboli. E giunse alla
conclusione infiorettata da molti "dispiace", "futura prosperità",
"condiscendenza": insomma la Liguria veniva unita al Piemonte, per
rafforzare il debole anello della catena stretta attorno alla Francia.
Seguì un grave silenzio: anche il colonnello appariva stanco e pensoso;
alcuni senatori gli si avvicinarono assicurandogli dl essere convinti «che
quanto di sinistro accadeva al Paese era tutto suo malgrado». A questo
punto non restava che prendere accordi per il passaggio delle consegne
tra la guarnigione inglese e quella sabauda, comandata da Ignazio Thaon
di Revel. La bandiera di San Giorgio sventolava ancora sulla torre di
Palazzo, ma sarebbe scesa ben presto e, questa volta, per sempre. I
senatori tergiversarono a lungo nei corridoi, nei vuoti festivi del
grande edificio, nei cortili freddi e deserti, prima di ritornare tra
la gente che, incuriosita, a quell'ora del mattino, sostava negli atri
e nel cortile.
Prima di lasciare il Palazzo, il governo uscente preparò un
proclama che iniziava così: «Informati
che il Congresso di Vienna ha disposto della nostra Patria riunendola
agli Stati di S.M. il Re di Sardegna; risoluti da una parte a non lederne
i diritti imprescrittibili, dall'altra a non usar mezzi inutili e funesti,
noi deponiamo un'autorità che la confidenza della Nazione, e l'acquiescenza
delle principali potenze avevano comprovata».
Il cambio della guardia avvenne il 7 gennaio 1815. Esattamente 185
anni fa.
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