[ Indietro ] Il Secolo XIX Venerdì 7 gennaio 2000Allegoria della perduta indipendenza della Liguria nel 1814. Nel quadro di Felice Guascone (Genova, Museo del Risorgimento), la Liguria è seduta, sorvegliata da due soldati inglesi, e indica le potenze straniere (metafora del Congresso di Vienna) che ne mercanteggiarono il destino Parla Leo Morabito storico e direttore del genovese Museo del Risorgimento «Il tradimento degli inglesi»I calcoli politici di Londra favorirono i Savoia ai danni di Genova ANDREA CASTANINI La storiografia la chiama "Età della restaurazione". Fu il tentativo delle grandi monarchie europee di riportare indietro l'orologio del tempo, a prima di Napoleone e della rivoluzione francese. Eppure, nell'Europa disegnata dal Congresso di Vienna, ci fu un'eccezione, che riguardò proprio la Repubblica di Genova. Si sa come andò a finire: la Liguria venne annessa al Regno di Sardegna, insieme al suo capoluogo. Perché? Leo Morabito, direttore dell'Istituto mazzinianio-Museo del Risorgimento, puntualizza. «Il mancato riconoscimento della Repubblica di Genova, a dire il vero, non fu l'unica eccezione: anche a Venezia non venne più restituita l'autonomia perduta, poiché l'Austria non voleva rinunciare a un porto di tale importanza. Per il destino di Genova, invece, fu determinante l'atteggiamento dell'Inghilterra, che scelse di legarsi al Piemonte in funzione antifrancese. Si decise di rafforzare il regno sabaudo e offrirgli al tempo stesso uno sbocco sul mare». Proprio al Museo del Risorgimento ci sono due quadri che descrivono la sottomissione ai Savoia vista dagli occhi dei genovesi. Il primo è un'indignata allegoria realizzata da Felice Guascone nel 1815. La Liguria è rappresentata come una donna, sorvegliata da due sentinelle inglesi armate. Accanto a lei, con il porto di Genova sullo sfondo, ci sono due personaggi che concludono un affare sotto una tenda simile a quella di un suk arabo. Si tratta di VittorioEmanuele l (a sinistra) e dell'inglese Lord Bentinck, che ha la mano protesa verso un mucchio di monete sopra il tavolo. «Il tema del dipinto - si legge nel catalogo del museo - si ricollega al sospetto dei genovesi che l'annessione della Liguria al Piemonte fosse il risultato di una cessione per denaro dell'Inghilterra a Vittorio Emanuele I». In questo caso l'astio del pittore sembra rivolto soprattutto ai britannici. «E c'è una ragione - spiega Morabito - L'Inghilterra ha avuto un atteggiamento ambiguo, nella vicenda della cessione della Liguria. Da una parte gli inglesi vedevano nell'antica Repubblica una rivale nei traffici marittimi, soprattutto per la potenza economica delle sue grandi famiglie. Dall'altra parte, durante l'epoca napoleonica avevano cercato di tenersi buona l'oligarchia genovese, promettendo di riportarla al governo. Alla fine ha prevalso la politica antifrancese, e questo tradimento non è stato dimenticato». Il secondo dipinto, sempre di Felice Guascone, è rivolto in modo più esplicito contro i Savoia. Il titolo è "Entrata di Vittorio Emanuele I a Genova dopo l'annessione della Liguria al Piemonte (8 febbraio 1815)". Si vede la carrozza del nuovo sovrano, seguita da un codazzo di ufficiali a cavallo, gesuiti e frati cappuccini, fendere una folla dolente e miserabile, composta di storpi, mendicanti, bambini affamati. Una donna accetta una borsa di denaro da un turco con caffetano e turbante, a indicare che la miseria portata dai Savoia spingeva le donne genovesi a prostituirsi persino con gli infedeli. Se non fosse abbastanza chiaro il concetto, una scritta sotto il quadro aiuta a capirlo. Dice: «Pace generale 1815-16-17. Universali miserie e mali». Dopo l'annessione, il governo sabaudo cercò di attenuare il sentimento diffuso di ostilità verso il Piemonte. ma senza troppo successo. «Non è così strano - spiega Morabito - Per secoli i genovesi avevano visto i piemontesi come avversari, soprattutto per i loro tentativi di conquistare uno sbocco sul mare nel Finalese. L'erede al trono Savoia, Carlo Felice, fece di tutto per rendersi popolare. Iniziò la costruzione del teatro e di altre opere pubbliche, e decise di stabilire la sua residenza a Genova per buona parte dell'anno. Ma i suoi tentativi fallirono, come dimostra un semplice aneddoto. Quando Carlo Felice arrivava in città per trascorrervi l'estate era solito organizzare una grande festa aperta alle principali famiglie genovesi. Ma molti degli invitati preferivano anticipare le vacanze e partire per le residenze estive per non partecipare».
Questo spiega anche perché la repressione dei Savoia sia stata così violenta, dopo la rivolta genovese del 1849: le truppe di Alfonso La Marmora, dopo aver ripreso la città, si macchiarono di esecuzioni sommarie, stupri e saccheggi. Un episodio che sembra dimenticato dai manuali di storia, così come si tende a non ricordare che il Congresso di Vienna segnò la fine della secolare storia della Repubblica di Genova. D'altra parte, si dice che la storia la scrivano i vincitori. «In realtà esistono molti studi su questi due episodi storici - spiega Morabito - ma è vero che la monarchia sabauda fece sempre il possibile per fare passare sotto silenzio la sottomissione e la successiva repressione di Genova». [ Indietro ] |