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Il Secolo XIX
Mercoledì 24 febbraio 2010
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STEFANO VERDINO
Terminato con successo a Palazzo Ducale il ciclo di incontri “Gli anni di Genova”,
c’è una data, nella storia della città, che merita ancora una ricognizione, è il 1814,
dalla primavera, quando crolla l’Impero napoleonico che include anche Genova alla fine
d’anno. In quei pochi mesi si spende l’estrema illusione della Repubblica di Genova,
restaurata con il celebre proclama di Lord Bentinck, l’inglese liberatore.
Il proclama venne ad alimentare speranze e illusioni dell’antica aristocrazia con
la creazione di un governo provvisorio presieduto da Gerolamo Serra, che si mise al
lavoro in modo rapido, riprendendo gli antichi ordinamenti, provvedendo per la ripresa
del banco di San Giorgio ed inviando subito a Parigi Agostino Pareto a perorare con
gli alleati la causa dell’indipendenza.
Ciò dava una qualche complicazione a Lord Castlereagh, responsabile del Foreign
Office che considerava già chiusa la partita e Genova annessa ad un ingrandito regno
di Sardegna, argine agli appetiti italiani di Francia e Austria.
Le vicissitudini di Pareto tra note ai potenti, colloqui e vane anticamere a Parigi
e Londra, fino a giugno, è stata raccontata molte volte: i suoi molteplici sforzi non
mutarono in nulla la linea del governo inglese e degli alleati firmatari il 30 maggio
della clausola segreta del Trattato di Parigi, che riguardava l’annessione proprio ai
Savoia, i secolari nemici. MaSerra, spalleggiato da Lord Bentinck, non molla. In città
Felice Romani appronta per la musica di Mayr un nuovo melodramma esotico (Atar), che
vede l’abbattimento di un tiranno (Napoleone) ed il vincitore rifiutare significativamente
il trono, per richiamare la repubblica e nuovi commerci sui “mari aperti”.
In quella calda estate - che vide tra l’altro il primo trionfo in patria di un
Paganini super star (paragonato a Raffaello e Michelangelo) – non mancò una varia
libellistica sulla questione: a Parigi un medico anglo italiano e spia al soldo inglese,
Bozzi Granville, pubblica un Appello allo Zar sull’Italia, che contempla la necessità
di una Genova sabauda. A difesa di Genova repubblicana tra Parigi e Londra corre
l’inchiostro, tra cui un pezzo sul foglio liberale Morning Chronicle, che
sosteneva le ragioni dell’indipendenza genovese con esigenze di neutralità commerciali,
articolo scritto con “lo stile di Corvetto”, a detta di Gerolamo Serra. Luigi Corvetto,
il prodigioso consigliere delle Finanze di Napoleone a Parigi era confermato da Luigi
XVIII nel suo rango, ma continuò sempre dalla sua posizione ad aiutare i tentativi di
ripristino dell’antica Repubblica di Genova, desiderando informazioni su quanto avveniva
nella sua prima patria. Corvetto - secondo un libro di dubbia attendibilità edito
nel ’26 - sarebbe stato allora anche esponente di una congiura tra Genova e Torino per
mettere a capo di un risorto impero romano il provvisorio sovrano dell’Elba.
Forse mai come in quel tempo Genova fu una questione internazionale, che non a caso
risolse come primo atto il Congresso di Vienna.
A Vienna il governo provvisorio aveva inviato Antonio Brignole Sale, il papà della
Duchessa di Galliera. Ma l’asse di ferro di Castlereagh con Metternich e la sornioneria
di Talleyrand non permisero giochi (che i Genovesi tentavano con la debole Spagna).
A novembre fu decisa l’annessione, ma Serra e Brignole prepararono allora il progetto
- fantapolitico per la situazione - di una costituzione del Regno della Liguria.
Serra, sconfitto, sarebbe andato in volontario esilio in Toscana, ma in quel tempo
d’interregno, prima dell’arrivo del Luogotenente sabaudo ai primi di gennaio, produsse
due nobili documenti: una Protestation per l’arbitraria estinzione della Repubblica
e un Proclama d’avviso della fine delGoverno provvisorio e dell’avvenuta annessione.
Questi due testi furono ripresi entrambi in moltissime sedi e impugnati dalla
stampa liberale d’Europa come uno sfregio operato dal Congresso. In vecchiaia, Serra
scriverà un memoriale sulle due cadute dello stato nel ’97 e nel ’14, delle quali fu
protagonista, non dimenticando di liquidare duramente il suo antagonista britannico,
non senza compiacimento sulla fine insana del “Castlereagh, il quale non prevedeva in
quel tempo di dover terminare i suoi giorni da forsennato, svenandosi con un rasojo”.
Da febbraio adaprile 1815, infatti, tanto ai Comuni quanto alla Camera dei Lords
The transfer of Genoa fu più volte all’ordine del giorno, con documentati
papers (includenti le proteste del Serra), branditi dall’opposizione Whig. Il
caso di Genova era anche citato da Stendhal come esempio della “grandezza” inglese e
pochi anni dopo “the betrayal (il tradimento) of Genoa” è il capofila di un crescendo
fino al “mondo” intero nella sgradita memoria di Lord Byron che - nella dedica del suo
“Aroldo” - rievoca a contrasto con le cantilene romane le grida esultanti nelle taverne
inglesi del ’14 per la pax britannica.
stefano.verdino@unige.it
L’annessione della Repubblica di Genova al regno dei Savoia
fu sancita al Congresso di Vienna del 1815
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