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Il Giornale
Domenica 12 marzo 2006
Basta con i fantasmi del localismo antico: riscopriamoci italiani
Per amore di una necrofilia archeologica corriamo il rischio di fare il gioco di chi vuole mettere in discussione l’unità nazionale
Glauco Berrettoni*
Esiste ancora la Liguria? Esiste ancora, al di là della mera identificazione geografica, un popolo ligure?
Il dibattito di questi giorni sull'esistenza di una identità ligure capace di conferire senso dell'appartenenza ad una comunità umana, si traduce in una semplice domanda: - esiste o meno una nazione ligure? È un quesito, tutto sommato, che denota, accanto ad una prepotente attualità dovuta al suo stesso essere posta, una strutturale inattualità all'interno di una globalizzazione dalla quale non possiamo più prescindere.
Cosa si intende per nazione? Per capirlo, bisogna tener presente, in primo luogo, che la fisionomia della nazione è determinata da un intreccio, variamente determinato, di fattori eterogenei come razza, etnia, cultura, lingua, religione, tradizioni, memoria collettiva e storia politica comune; in secondo luogo, si deve osservare che ogni nazione costituisce sempre e comunque il prodotto di circostanze uniche e irripetibili.
Ma, al di là di questo, sulla scia del Renan bisogna riconoscere che alla base della nazione c'è la volontà di essere nazione, e che quindi bisogna cercare in che modo si può voler essere una nazione.
Infatti si può essere nazione in virtù di una vera o presunta origine comune, di un patrimonio culturale condiviso, di una lingua o di una religione comuni, etc. In questo contesto, si possono riconoscere tre variabili del voler essere nazione: in riferimento all'etnia, alla razza, alla stirpe, cioè ad una origine comune; oppure è la cultura a definire la nazione, intesa come lingua, tradizioni, religione, memorie storiche (lo «spirito del popolo» di romantica origine); oppure, infine, l'appartenenza è data da un'istituzione politica di riferimento.
Non è, questa, una classificazione certamente statica, in quanto le tre variabili si intrecciano spesso e volentieri, ma può comunque offrire una buona base di partenza per una definizione del problema: ad esempio, se le nazioni antiche sono state prevalentemente a base etnica, il processo di unificazione italiano e tedesco si è rifatto piuttosto all'aspetto culturale del proprio cemento unificante, mentre gli Stati Uniti sono stati piuttosto uniti, su base politica, da un patriottismo costituzionale.
Ecco, allora, che il discorso cambia a seconda che consideriamo gli antichi Liguri, visti in rapporto alle antiche popolazioni italiche, oppure l'identità costruitasi dopo la disgregazione dell'Impero Romano d'Occidente.
In questo senso, bene ha fatto Rino Di Stefano a porre il problema in chiave paletnologica ed etnologica, perché in questo modo ha dimostrato che, se nel mondo antico esisteva una popolazione con caratteristiche e tradizioni comuni, «il tempo e la storia hanno fatto in modo e maniera che questi popoli abbiano di fatto generato culture locali differenti».
E questo carattere, a un tempo eterogeneo ma con tratti tradizionali comuni, si mantiene anche nella tradizione politica che gravitava attorno alla Repubblica di Genova, dal periodo aureo sino a tutta una lunga e sofferta decadenza che ne avrebbe accelerato la scomparsa, allorquando sarà inserita in un contesto storico che l'avrebbe portata a partecipare attivamente alla costruzione di una nazione più ampia e articolata: quella italiana. E la costruzione di una nuova nazione comporterà, di riflesso, la conseguente trasformazione del senso dell'appartenenza.
Del resto non dobbiamo stupirci. Il senso dell'identità nazionale è un qualcosa sempre «in fieri», che si costruisce faticosamente e lentamente nel corso della storia e che, altrettanto lentamente, può perdersi a seguito di invasioni, trasformazioni storiche, mutamenti sociali. I gruppi umani accomunati da una medesima origine naturale - la «natio», cioè la «nascita» - possono rimanere tali solo per un periodo relativamente breve, considerato il perenne migrare dei popoli e la relativa stratificazione: la purezza, sia etnica che culturale, è solo una chimera e, oltretutto, perniciosa e poco creativa in sede di cultura.
Questo, a mio parere, è quello che dobbiamo tener presente quando facciamo dell'archeologia culturale: Casareto ha certamente ragione nel dire che il futuro è costruibile solo a partire dal proprio passato, peccato che, però, la domanda successiva sia, inevitabilmente: quale passato? Ma, soprattutto: con quale finalità vogliamo riscoprire un passato localistico?
Un conto, infatti, è cercare di conservare le tradizioni, la lingua e la cultura della Liguria all'interno di un mondo ormai globalizzato - e non è pensabile di poter tornare indietro! -, un'altro è andare ben oltre rischiando di arrivare a minare quel senso dell'appartenenza italiana che, ormai, sta finalmente faticosamente affermandosi.
Eccedere nel tentativo di dare consistenza a fantasmi irreali di un localismo antico, comporta il rischio di negare quel senso di identità vera che, per l'Italia, ha in Roma e il proprio tratto unificante e il proprio punto di riferimento. Per secoli, questo è stato dimenticato; per decenni, guelfi e comunisti, con il loro odio per l'unità nazionale, hanno tentato di farcelo negare: non corriamo il rischio, oggi, di rimettere tutto in discussione per amore, innocente o meno, di una necrofilia archeologica. Se vogliamo parlare di origini e di identità parliamo di Italia, di Grecia e di Roma!
*Vice Presidente C.d.C. VIII
(An) Medio Levante
I CORTEI STORICI sono l’occasione per rivivere i fasti dei tempi andati
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