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Il Giornale
Domenica 2 luglio 2006
UN’EREDITÀ CHE PASSA DA UNA GENERAZIONE ALL’ALTRA |
L’etnia è cultura, non biologia
Si appartiene a una comunità per storia condivisa, solidarietà, amore verso un paese
Franco Monteverde*
Quando nel 1995 uscì il mio saggio su «I liguri - un'etnia tra Italia e Mediterraneo» moltissimi amici, stupiti, mi ricorrevano con una domanda ossessiva: allora ti senti italiano o ligure?
Sulle prime, avevo provato un qualche disagio, non rendendomi conto fino in fondo che rivendicare un'identità complessa, quale quella italiana-ligure, comportava il rischio dell'emarginazione culturale e politica.
Abituato da una lunga permanenza in Svizzera ad un costume per cui tutti i cittadini appartengono alla comunità del Cantone e della Confederazione, non riuscivo a comprendere perché un uomo dovesse, fin dalla nascita, assumere una sola appartenenza, in modo da sventolarla fieramente per tutta la vita sulla faccia dei diversi.
Quasi che i percorsi di vita di uomo libero, le convinzioni acquisite con lo studio e con le esperienze, le preferenze, le affinità elettive non contassero minimamente.
Ciascuna persona, specie se appartiene ad una comunità quale quella genovese, dalle origini incerte, perché vi si sono mescolati liguri, celti, galli, poi romani, bizantini, goti, longobardi, perché abituata ad accogliere uomini provenienti dall'oltre mare o dall'oltre Appennino, porta dentro di sé un intrico di appartenenze.
Ogni uomo, quindi, appartiene a molte identità, culturali, religiose, politiche, non solo etniche, sicché a ben vedere è identico solo a se stesso. Se poi si osserva l'identità più da vicino, se si separano le tante appartenenze che vivono dentro ciascuno di noi, per poi privilegiarne una a scapito delle altre, si finisce per rinnegare una parte di sé; se si sfoglia il carciofo delle appartenenze per ritrovarne una prioritaria e fondante una personalità, si rischia di presentarci agli altri con un'anima del tutto nuda.
L'identità di ciascuno di noi allora non è innata, non è data una volta per tutte, ma si costruisce stagione per stagione lungo l'arco della vita è quindi aperta a molti mutamenti.
A volte, durante il corso degli anni, le identità che ci portiamo appresso diventano nemiche tra di loro e perciò agiscono come un fattore lacerante del cuore degli uomini; in questi frangenti dolorosi, chi ci sollecita a scegliere l'anima che sembra più profonda e autentica, ci impone anche di negare tutte le altre.
Allora se si subisce la volontà altrui, si indossa una maschera che ci rende inautentici, se si rifiuta l'imposizione, si diventa dei traditori di un mito patriottico.
Quante violenze e quante oppressioni sono state imposte per mettere un'identità al di sopra di tutte le altre, quale sciupio di valori, quali contraccolpi psicologici hanno portato l'esaltazione di una razza, di una fede religiosa, di una nazionalità a danno di tutte le altre!
Quando nell'Occidente è decollato un processo di modernizzazione sempre più veloce che ha aperto una straordinaria primavera di creatività spirituale e di superiorità tecnica ed economica, unico esempio nella storia dell'umanità che pare non abbia mai fine, non solo tutte le altre civiltà sono state messe i discussione, ma le stesse tradizioni millenarie dalla civiltà europea sono state piegate ai suoi ritmi e ai suoi valori.
Se da un lato la modernizzazione, ora si usa il termine globalizzazione, ha significato occidentalizzazione, con il sorgere di movimenti ostili ad essa primo tra tutti quello islamico, dall'altro lato, ossia all'interno stesso dell'Occidente ha significato relegare in un angolo buio valori, comportamenti, Weltanchaungen (visoni del mondo) radicate nelle coscienze popolari ben più profondamente di quanto si pensasse.
Anzi, nel tentativo di resistere alla standardizzazione non solo dei consumi, ma anche dei tratti della vita collettiva, l'ancoraggio alle radici etniche ed alle tradizioni trasmesse da padre in figlio consente che anche una piccola patria, quale è la Liguria, di rallentare, se non addirittura interrompere, i processi livellatori, distruttivi e neutralizzanti che i mercati e l'universo mediatico innescano in continuazione.
Di ciò si sono resi conto istintivamente gli uomini comuni, ancor prima degli intellettuali, riscoprendo il valore di tratti di vita quotidiana dimenticati da lustri, dalla gastronomia alla degustazione dei vini, dalla celebrazione di feste e ricorrenze religiose fino a ieri dalla cultura ufficiale considerate folklore, da mettere nel cassetto delle cose di cui liberarsi al più presto. Se quindi per etnia si intende un concetto capace di evocare un nome collettivo, una storia condivisa, un sentimento di solidarietà, un sito amato come un paesaggio dell'anima in cui si sono radicati i sentimenti di una comunità e che non fa ombra perché del tutto immateriale, si identifica in una cultura, non in un dato biologico.
E la cultura passa da una generazione all'altra come un'eredità mentale che affiora nelle esperienze della vita, viene appresa attraverso la padronanza di una lingua, la conoscenza di una storia, l'obbedienza a codici di comportamento trasmessi da una generazione all'altra senza interruzione di continuità.
In più, a ben vedere, gran parte del sapere che gli uomini acquisiscono durante la loro vita non deriva tanto dallo studio di testi scientifici, o di analisi storiche, ma si apprende attraverso l'assimilazione di una tradizione.
Certo, un sistema di valori radicati su un territorio costituisce un patrimonio vitale solo se c'è un soggetto che vuol servirsene per guardare al futuro con il cuore gonfio di fiducia e con la mente piena di progetti. Purtroppo, le comunità liguri appaiono arroccate attorno ai propri campanili e non avvertono il bisogno di sentirsi parte di una storia comune, né di tessere una rete di interessi che vadano al di là dei confini comunali, a volte persino al di là di quelli parrocchiali.
Genova al riguardo non è un'eccezione.
Per ricostruire nelle coscienze e nei cuori dei liguri la dignità di una storia esemplare, per allargarne le conoscenze e trasmetterle alle future generazioni, occorre recuperare il passato valorizzando il filo di continuità ideale che lega tra loro vicende lontane nel tempo, per poi metterlo a confronto con le novità che arrivano da ogni punto del quadrante.
Non è possibile saldare i valori di un regime di libertà ad una riprogettazione delle istituzioni e della base economica e sociale, senza l'apporto sostanziale del passato, giacché memoria e progetto sono le facce di una medesima medaglia. Mettere allora a confronto esperienze anche remote con l'attualità, non ci allontana affatto dai problemi quotidiani, ma ci permette di comprenderli in profondità, consentendo ai decisori pubblici e alle imprese di operare al meglio e agli studiosi di rinnovare le chiavi di lettura della storia.
La globalizzazione incalza, sicché occorre affrontarla secondo regole antiche: se lo spazio economico della Liguria non regge più, occorre inventarne un altro. In questo senso costruire un porto nell'Oltregiogo, ossia nelle terreferme, o produrre energia elettrica utilizzando la forza del vento, o bruciando il legno di boschi da anni abbandonati è il modo all'antica per affrontare i mercati.
Se questi progetti diverranno realtà, come mi auguro, occorrerà fare appello alla forza delle tradizioni, introducendo però la modernità nel corpo della società ligure, senza distruggere il paesaggio dell'anima e quello del suo Appennino.
Qui sta il cuore della sfida che ritengo debba essere affrontata.
*Assessore alla Cultura
del Comune di Voltaggio
LA LANTERNA Antico simbolo di genovesità
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