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Il Secolo XIX - Martedì 3 luglio 2007

 

MACROREGIONE

Piemonte e Liguria, prove di "fusione"

 

Il modello è il Trentino
Alto Adige. I primi
accordi sottoscritti su
sanità, ricerca, turismo,
istruzione e adozioni

NOLI. Prove tecniche di macroregione a statuto speciale. Limonte, unione tra Liguria e Piemonte, nasce a Noli, in quella riviera di ponente che è il naturale sbocco a mare dei piemontesi. Limonte mette subito sulla carta una serie di accordi, come liguri e piemontesi fanno da sempre, sconfinando da una parte e dall’altra dell’Appennino e delle Alpi del Sud. Ieri a Noli, nella chiesa sconsacrata dell’antico palazzo vescovile, le due giunte regionali, presiedute dalla torinese Mercedes Bresso e dal genovese Claudio Burlando, si sono riunite e hanno posato la prima pietra di un’ardita architettura costituzionale. Sanità, ricerca, formazione professionale, adozioni internazionali e promozione turistica sono i primi accordi sottoscritti. Il primo a decollare è quello per il controllo delle liste d’attesa per prestazioni diagnostiche e specialistiche. Funzionerà così: know-how piemontese, attrezzature e ospedali liguri. Un passo indietro, per capire. Il Piemonte negli anni scorsi ha trasformato Cuneo e Asti in una specie di laboratorio sanitario. Come? Con la Amos, società mista, pubblica al 70%, incaricata di far lavorare a spron battuto le grandi macchine per la diagnostica, soprattutto le risonanze magnetiche. Nonostante le polemiche i risultati sono arrivati: il costo delle prestazioni è diminuito del 50%. Perché? Semplicissimo: una gestione del personale di tipo privatistico ed una serie di paletti posti agli specialisti che lavoravano sia per il servizio pubblico sia, in regime di libera professione intramuraria, per Amos. Un paese del bengodi dove per una risonanza magnetica l’attesa è ridotta al massimo ad un paio di settimane, addirittura a pochi giorni se chi la richiede è un paziente ligure, guadagno puro per il servizio sanitario piemontese come dimostrano i dati sulle fughe sanitarie dei liguri nel 2006. Incantesimo rotto dalla legge Bersani per la quale le società che lavorano “in house”, per gli enti pubblici, devono essere completamente pubbliche. Così l’accordo siglato ieri allarga la “house”, la casa, anche alla Liguria che, con 2 o 3 milioni di euro (prezzo stracciato dalla fretta di vendere), rileva la quota privata di Amos Spa ed entra a far parte della società che, con lo stesso metodo usato in Piemonte, dovrebbe far lavorare a pieno regime le macchine degli ospedali liguri. «Le nostre attrezzature invecchiano prima di essere state sfruttate. Con questo accordo entro il 2008 speriamo di abbattere le liste d’attesa» afferma il presidente ligure Claudio Burlando. Lo scenario che delinea: macchine, risonanze magnetiche e tac, che restano in funzione per 12 o 14 ore (oggi al massimo restano “accese” in media 8 ore) e radiologi che, come accade nelle strutture gestite da Amos nel cuneesee nell’astigiano, se non hanno un rendimento minimo quando lavorano per il servizio pubblico non possono fare libera professione per la società mentre quando fanno intramoenia non potranno rendere più di quando sono alle dipendenze della Asl. «Faremo un incontro operativo con le nostre Asl. Entro il primo di ottobre, se tutto andrà bene, Amos dovrebbe cominciare la sua attività in Liguria». Per Burlando è più di una speranza, è una necessità. Lo sconfinamento sanitario, mentre le liste d’attesa negli ospedali liguri continuano ad allungarsi, per il 2006 ha portato la Liguria ad avere nei confronti del Piemonte un debito di 52.456.032 euro. C’è un secondo passo che, in nome della continua osmosi dei loro cittadini, Bresso e Burlando vorrebbero compiere: fare in modo che i piemontesi che svernano in Liguria e i liguri che vanno in campagna o in montagna in Piemonte possano avere una seconda residenza sanitaria. «Un medico di base nella località di villeggiatura abituale» commenta Bresso e, attenta al soldo come i liguri, aggiunge: «Ovviamente la quota capitaria che devono pagare le Regioni dovrà essere, nel caso della doppia residenza, rivista in modo proporzionale». Esempio: se un piemontese trascorre sei mesi all’anno in Liguria, la sua quota capitaria andrà divisa equamente tra i due medici che lo hanno in cura. Se c’è una cosa che non potrà più accadere, dopo la firma degli accordi tra Piemonte e Liguria, è un caso come quello delle complicate adozioni in Bielorussia. Il Piemonte è infatti l’unica regione ad avere un’agenzia pubblica per la gestione delle adozioni internazionali e la Liguria, invece di crearne una propria, potrà usufruire dell’esperienza che ha accumulato l’organismo sabaudo. Altro problema, altro accordo: la collaborazione tra gruppi di ricerca delle due regioni nell’area delle scienze e delle tecnologie della vita con la creazione di un “comitato di indirizzo”. Il quarto protocollo d’intesa è per l’istruzione e la formazione professionale, con linee guida comuni, la creazione di poli tecnico professionali (leggi un Politecnico di Torino che si estende a Genova, ad esempio) e un’anagrafe sulla mobilità degli studenti in modo da creare per loro una rete di servizi. Ultimo il turismo. Mentre le due Regioni pensano come celebrare insieme i 150 anni dell’Unità d’Italia, il primo tassello di collaborazione sarà una specie di grande vetrina per i prodotti enogastronomici, pronti ad essere commercializzati con il doppio marchio, nel porto di Savona, luogo di transito per 800 mila croceristi all’anno. L’aggregazione (che potrebbe chiamarsi Limonte) prende dunque corpo. Le basi sono buttate, ma ci sono altri argomenti (il controllo delle acque del Bormida e il riutilizzo delle aree Acna di Cengio, la gestione dei bacini idrici, le autostrade regionali Albenga Garessio e Carcare Predosa) e la previsione di cospicui vantaggi che potrebbero legare a doppio mandato le due Regioni. Piccola, ma ricca di container, la Liguria potrebbe gettare sul tavolo di questa strana unione l’extragettito del porto e che, per il principio del federalismo fiscale al quale anche il Governo sembra essersi piegato, potrebbe essere dirottato sulle infrastrutture. Il porto, ma anche il retroporto che per Genova è l’alessandrino. «La Liguria movimenta il 60% del traffico di container con destinazione finale il nostro paese ha sottolineato Burlando e produce un gettito fiscale di 4 miliardi di euro l’anno. Pensiamo di raddoppiare questa cifra entro 10 anni».

Alessandra Costante

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