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la Repubblica - Domenica 30 maggio 2010

 

L'INTERVENTO

Il Limonte nonostante Cota

Vittorio Coletti

CHISSÀ se, col gentile dono di un posto nel Comitato delle Regioni d'Europa e un invito a cena, Claudio Burlando riuscirà a rabbonire il borioso Cota e a indurlo a non gettare nella spazzatura il progetto Limonte. In effetti, l'obiettivo vale la pena di un'umiliazione, perché una macroregione Piemonte Liguria è uno dei pochi modi assennati di far fronte ai rischi del federalismo. Ma non mi farei illusioni. Il federalismo leghista è la versione istituzionale del neorazzismo padano. Il fastidio di Cota per il Limonte ne è una variante. Più o meno il Cota pensiero si può trascrivere in italiano così: sto solo con i nordici che vanno fieri della loro padanità, della loro ricchezza e della loro forza. Posso unirmi ai lombardi, leghisti, ricchi e forti, ma non certo ai liguri, poveri, levantini e tanto deboli da votare in maggioranza a sinistra. Questa è la logica del separatismo sociale e geografico leghista, che non a caso attrae i più arretrati, i più meridionali dei settentrionali, quelli che si vergognano dei parenti poveri e si vantano di quelli ricchi. Che a loro volta, ovviamente, li evitano e rifuggono (come mostra la scarsa presa del leghismo padano in Trentino Alto Adige). Gianni Brera aveva profeticamente scritto che i leghisti fanno gli altezzosi con i terroni per poi diventare i terroni dei tedeschi. Ora, quando il pensiero politico si basa su categorie così primitive e i progetti degli statisti sono di questo disarmante livello, non c'è ragionamento né cortesia che valgano a modificarli. Per questo, Burlando potrebbe usare anche lui un altro linguaggio, parlando lui pure il padano e gridare che sono i liguri a non voler più stare coni piemontesi di Cota, perché con una popolazione che vota in maggioranza Lega e Berlusconi si troverebbero a disagio e si vergognerebbero, con le loro antiche libertà marinare e il loro innato cosmopolitismo commerciale, a stare a tavola con dei municipalisti da cascina; e magari potrebbe aggiungere che sono stufi di tutti quei finti residenti piemontesi in Liguria, che, col trucchetto della finta residenza, non pagano l'Ici sulle seconde case. Ma, naturalmente, Burlando non può parlare così. Non si può fare come i peggiori solo perché loro si ritengono i migliori. Il nostro presidente, diversamente da Cota, non può ignorare che i piemontesi sono in Liguria, specie di Ponente, da tantissimo tempo e che il Piemonte è stato da sempre per i liguri punto di riferimento culturale, economico, turistico. Forse, Burlando potrebbe insegnare ai leghisti che i più antichi e solidi rapporti sono quelli verticali, tra nord e sud, per cui c'è molta più distanza tra un piemontese e un lombardo che tra un piemontese e un ligure. Basti pensare alle direttrici che uniscono da sempre il ponente della nostra regione al Piemonte; al numero impressionante di piemontesi del basso Piemonte che da generazioni lavorano in riviera; all'interscambio turistico che, come ha portato i piemontesi a Loano a Andora o a Arma, così ha portato i liguri a Limone, a Bardonecchia e perfino nelle Langhe. Piemonte e Liguria hanno una tradizione lunghissima di rapporti quotidiani, di parentele, di commerci. La storia spinge Liguria e Piemonte a unirsi, specie se c'è da affrontare l'azzardo federalista. Non sarà un Cota a cambiare la storia.

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