«Quel ragazzino assassinato
è stato vittima due volte»
«Nessuno nasce ladro», sussurra queste parole e tutta la sua tristezza Antoneta
Mihallari, 36 anni, albanese in Italia da dieci, professione mediatrice culturale
in una cooperativa che, per conto del Comune, aiuta gli immigrati all'interno delle
scuole dei servizi sociali.
La notizia dell'uccisione
di un giovane connazionale, Beznik Brozi, 17 anni, sorpreso a rubare in un'abitazione
e freddato con un colpo di pistola al cuore mentre scappava, non l'ha indignata. «Mi
ha fatto una tristezza infinita. Quel ragazzino è vittima due volte. Vittima dello
stato in cui è nato, le cui difficoltà socio-economiche impediscono ai bambini di
vivere un'infanzia decente obbligandoli spesso a fuggire. E vittima della situazione
in cui si è gettato per necessità, a costo della vita».
Come giudica l'uomo che gli ha sparato?
«Io non giudico nessuno, questo spetta a un tribunale. Però il ragazzino stava
scappando, questo bisogna dirlo, e forse si poteva evitare di arrivare all'uso della
pistola».
Angelo Bastino, 57 anni,pensionato, è disperato.
«È tragico che per una situazione del genere, alla sua età questa persona, senza
volere, si sia trasformata in un assassino. La giovane vittima ha smesso di vivere
prima di cominciare davvero. Ma c'è di più».
Continui.
«Temo che ancora una volta un fatto di cronaca contribuisca ad alimentare i
pregiudizi verso la comunità albanese. La mia gente spesso e volentieri è servita
da capro espiatorio, accusata di delitti commessi da altri, anche italiani. Sia
chiaro però: io non difendo gli albanesi che sbagliano e commettono
reati. Ma non
facciamone un fatto di nazionalità: sbagliano anche i nordafricani, i sudamericani
e gli italiani».
Quale percorso porta giovani come Besnik a diventare
"ladro acrobata"?
«La delinquenza albanese ormai si è organizzata e ha trovato terreno fertile in
Italia. Ha capito che la via legale per l'ingresso in Italia è sempre più difficile
e che offrendo il sogno italiano al costo di due ore di viaggio in gommone clienti
se ne trovano in quantità».
Nessuno sa nulla della storia di Beznik. Un parente pare
si sia rivolto al ministero degli Esteri per riportare la salma in patria e pare che
la famiglia sia in arrivo a Genova.
«Il ragazzo dovrebbe essere un profugo kossovaro, visto il paese di origine. Non è
escluso che possa essere uno dei giovani portati in Italia da Comune e Provincia
nell'ambito dei programmi di cooperazione internazionale e inserimento guidato nel
mondo del lavoro con corsi di lingua e di formazione professionale. Potrebbe
aver trovato troppo presto persone sbagliate sulla sua strada ed essere entrato
nella clandestinità».
Quanti sono qui gli albanesi?
«So che in Liguria sono duemila senza una residenza stabile. Non si può parlare di
una vera e propria comunità organizzata».
Come mai?
«Gli albanesi in Italia, anche se regolari, preferiscono vivere nell'ombra, senza
dare nell'occhio per evitare incontrare il pregiudizio».
Cosa fanno i suoi connazionali più o meno integrati?
«Fanno i lavori che i genovesi non vogliono più fare, quelli più faticosi senza
orari come il fornaio e il muratore, per gli uomini, l'assistente domestico ad
anziani per le donne».
Spesso in nero e sottopagati.
«Già. Ma quando un ponteggiatore albanese cade da un'impalcatura e si spezza la
schiena senza alcuna assicurazione, agli italiani interessa meno un furto in
appartamento. È duro da accettare ma è così».
Graziano Cetara.
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