L'inceneritore e i simboli di Genova
(Appunti di Franco Bampi)
In questo periodo molto si è scritto e dibattuto circa la possibilità di collocare un inceneritore dei rifiuti dentro la centrale Enel posta sotto la Lanterna. La posizione di Forza Italia è chiara: sì all’inceneritore purché esso sia lo stadio terminale di processo di trattamento dei rifiuti (in sostanza va incenerito ciò che resta dopo una adeguata raccolta differenziata) e purché non sia collocato sotto la Lanterna. In quest’ottica la centrale Enel, vecchia e fortemente inquinante, va chiusa e l’area attorno va bonificata per realizzare il parco urbano della Lanterna di Genova. Circa le possibili aree dove collocare l’inceneritore, e in tal modo garantire i lavoratori attualmente impiegati nella centrale Enel, il dibattito ha evidenziato almeno tre proposte: (1) Fossa Luea, nel comune di Ceranesi, dietro a Scarpino, (2) una caverna artificiale da realizzarsi dentro la collina di Scarpino, che eliminerebbe completamente il trasporto con i camion delle ceneri residue in discarica, (3) la cava abbandonata di Forte Ratti, da collegarsi con una funicolare alla Volpara. Tutte le proposte hanno il vantaggio che, essendo prossime a siti già adibiti al trattamento dei rifiuti, presentano basso impatto ambientale per il trasporto dei rifiuti all’inceneritore e per lo smaltimento dei residui dell’incenerimento.
Tuttavia l’elemento che più sorprende chi ha seguito questa vicenda è l’irremovibile pretesa del sindaco Pericu, e della maggioranza che lo sostiene, di collocare l’inceneritore sotto la Lanterna: un oltraggio inaccettabile al simbolo e alla storia di Genova. Purtroppo Genova non è nuova a questi affronti che evidenziano il disegno di demolire e umiliare una città, una regione e un popolo che seppero essere ricchi e prosperi e che oggi stanno lentamente ma inesorabilmente estinguendosi. È doveroso allora ricordare gli oltraggi e le ferite che Genova ha subito nei suoi simboli per combattere l’oblio che annulla l’identità ligure e cancella la diversità.
Un simbolo non si inventa. Nasce dal comune sentire di un popolo che si riconosce in esso e da quel simbolo si sente rappresentato. La Lanterna si staglia per 170 metri d’altezza a Capo di Faro, nella parte terminale del distrutto Promontorio di San Benigno. Nei primi tempi il porto veniva segnalato alle navi bruciando della legna in gabbie di ferro. Successivamente, tra il 1150 e il 1200, sul Capo di Faro fu innalzata la Lanterna. Distrutta nel 1512, fu ricostruita nella forma attuale verso il 1543. Non è noto il nome di chi la progettò e la costruì. La leggenda vuole che, dopo aver realizzato la Lanterna, il suo artefice sia stato fatto precipitare dalla sommità della torre per impedire che ne costruisse un’altra uguale. Solo uno sciocco può pensare che il simbolo di Genova sia “vecchio” e possa essere sostituito. E proprio per contrastare gli sciocchi la Lanterna va difesa e valorizzata.
Purtroppo anche gli altri simboli di Genova non hanno miglior fortuna. L’arma della Repubblica di Genova, che del Comune ne è ora lo stemma, aveva la corona chiusa in segno di sovranità e i grifoni reggistemma erano rappresentati con le ali e le code ben sollevate in segno di fierezza del popolo genovese e ligure. Dopo l’annessione al Regno Sardo, stabilita d’imperio dal Congresso di Vienna nel 1815, i grifoni reggistemma furono rappresentati con la coda fra le gambe, in segno di sottomissione, e la corona che sormontava lo stemma divenne quella comitale (sebbene il re di Sardegna fosse duca di Genova) non potendo superare Torino che, pur essendo capitale, aveva il titolo comitale. Solo nel 1897 a Genova fu riconosciuta la corona ducale e i grifoni furono rappresentati con la punta della coda appena fuori dalle gambe. Ma non basta. Sotto lo stemma del Comune appare, in grafica speculare, la figura del rostro bronzeo di nave romana “a testa di cinghiale”, trovato nel porto di Genova nel 1597. Tale rostro era collocato sopra la porta dell’Arsenale della Repubblica di Genova; dopo l’annessione al Regno Sardo il rostro fu trasferito nell’Armeria Reale di Torino dove ancor oggi si trova. Ma il reperto è nostro e deve esserci restituito. Anche in ossequio al fatto che Genova, nel 1862 dopo l’unità d’Italia, non esitò a restituire a Pisa le catene di Porto Pisano, portate via dopo la battaglia della Meloria del 1284 e che per secoli furono appese a Porta Soprana. Infine, ma non di minore importanza, quando fu costituita la Regione Liguria, fu inventato per essa uno stemma artificiale, orribile, dai colori improvvisati, avulso da ogni contesto storico, a forma di lucchetto, forse a testimoniare che la Liguria è schiava e sottomessa. Dobbiamo impegnarci per sostituirlo.
Persino la toponomastica dimostra la decadenza della tensione morale che fa di una comunità un popolo. Ormai si ricordano solo i morti ammazzati: anche questo è un metodo per demoralizzare e avvilire un popolo. È lesivo della gloria del popolo ligure aver denominato una zona storica, nel porto antico, “Calata Falcone e Borsellino”, servitori dello Stato uccisi da vile mano mafiosa e degni di commemorazione, ma completamente estranei alla cultura del popolo ligure. E c’è da sperare che il monumento del Duca di Galliera non ritorni dove era collocato. Oggi quel luogo ha lo sconcertante nome di “Giardini Caduti nei lager nazisti” (e le decine e decine di milioni di caduti nei gulag comunisti?), nome che, pur ricordando una violenza che deve farci provare vergogna e pietà, non onora certo la memoria del grande Raffaele De Ferrari che finanziò personalmente la costruzione della diga foranea a protezione del porto, e quindi dei traffici, di Genova. Ancora, la casa del 1200 sita in vico degli Indoratori 2, dove nacque Santa Caterina Fieschi Adorno (1447 – 1510), non è segnalata neppure da un umile cartello, mentre quella di Paganini ... non c’è più! In questo squallido panorama, una nota di encomio va rivolta allo scultore Lorenzo Garaventa e alle sue collaboratrici Luisa Caprile e Marta Parmegiani che stanno ricostruendo le statue di Andrea Doria e Gian Andrea Doria che saranno ricollocate sui due piedistalli di Palazzo Ducale in Piazza Matteotti, dove erano e dove furono demolite dalla furia dei giacobini genovesi nel 1797.
Fortunatamente Genova possiede molto, anche se le sue ricchezze storiche, artistiche e culturali sono ignote a moltissimi genovesi. Rilanciamo la città, la sua storia e il suo “darsi da fare” proponendo che la città antica, quella compresa nelle mura del ’600, sia dichiarata Città d’arte e sia riconosciuta a livello europeo e mondiale. Anche questo è un modo per alzare la testa, le code e le ali.
Genova, 15 novembre 1999
Apparso sul settimanale Arcobaleno
di Sabato 20 novembre 1999
|