Quale statuto speciale per la Liguria?
(Appunti di Franco Bampi)
Ho letto con interesse e con piacere il contributo scritto da Mauro Cerulli e apparso sulle
pagine savonesi di "Arcobaleno" del 23 ottobre 1999. L’autore giustamente individua nella
richiesta dello statuto speciale anche per la regione Liguria uno dei punti di forza di un
possibile programma per il governo regionale del prossimo lustro. Per comprendere tuttavia
quale tipo di statuto sia opportuno richiedere per la Liguria occorre fare alcune
considerazioni.
La Liguria fu una terra ricca e prospera, non per la generosità del suo territorio, aspro e
impervio, ma per la capacità tutta ligure di "darsi da fare". Naviganti e corsari,
commercianti e artigiani, nobiltà e popolo, tutti assieme riuscirono ad inventare uno stato,
la Repubblica di Genova, che riducendo al minimo la burocrazia e l’ingerenza statale nelle
attività e nelle creatività dei privati consentì non solo ai nobili genovesi, ma ai liguri
tutti di essere un popolo ricco e florido. Nonostante la mentalità medioevale creasse quelle
tensioni, quelle lotte e quelle congiure, di cui la nostra storia patria è costellata, mai
il popolo si ribellò al governo: il popolo e i nobili insorsero sempre e solo contro
l’oppressore straniero per difendere, fino all’estremo, la libertà di una regione e dei
suoi operosi abitanti.
Fu per la tenacia e la capacità di "darsi da fare" dei suoi abitanti che la Liguria divenne
la più grande potenza marinara del medioevo. Fu per la superba invenzione, nel 1407 della Casa
o Banco di San Giorgio, istituzione libera dai vincoli della burocrazia, che la Liguria divenne
la piazza finanziaria più potente del mondo quando l’affermarsi dei grandi stati nazionali
impediva a una piccola regione ogni competizione sul piano militare.
A fine del diciottesimo secolo, travolti dal ciclone napoleonico, i Liguri lottarono
duramente per la loro indipendenza. Il 9 ottobre 1796 stipularono una convenzione segreta
con Napoleone, che tuttavia non la rispettò, in cui si garantiva l’indipendenza a fronte
del pagamento di 4 milioni di lire. Quando il 22 maggio 1797 la "fronda giacobina genovese"
tentò un colpo di stato per consegnare la Liguria a Napoleone il popolo dei camalli e dei
carbonai insorse a difesa dell’antico governo facendo fallire la congiura. Il 6 giugno 1797
il governo genovese accettò, come male minore, la nascita della Repubblica Democratica Ligure
che fu autonoma rispetto a quella Cisalpina e Cispadana (in questo Napoleone capì ciò che a
Bossi non riesce: che la Liguria non è in Padania!) Infine il 26 aprile 1814 il generale
inglese Lord Bentinck restaurò l’antico governo quale esisteva prima del 1797.
Il Congresso di Vienna, però, fu spietato con i Liguri. Puntuale e pressante fu la difesa
dell’indipendenza che Agostino Pareto, padre di Lorenzo, fece nei confronti del Ministro
degli esteri britannico, il Visconte Castlereagh. Il Pareto dimostrò come la sussistenza
di Genova fosse il commercio di commissione che non doveva essere gravato da soverchi dazi:
ciò era possibile per un paese libero, ma non per uno stato come il Piemonte gravato da
spese di Corte e d’armamento militare. Inoltre spiegò che gli interessi di Genova erano
unicamente marittimi e affatto diversi da quelli di un paese agricolo, ai quali gli interessi
liguri sarebbero sacrificati: Genova sarebbe condannata alla più miserabile esistenza. Ma la
sorte della Liguria era già decisa: il giorno 7 gennaio 1815 la Liguria entrava a far parte
del Regno Sardo col nome di Ducato di Genova. Genova si ribellò ancora nell’aprile 1849,
rivolta che fu duramente repressa dai bersaglieri del generale La Marmora. Infine, quando
si votarono i plebisciti di annessione al Regno d’Italia, la Liguria, formalmente già annessa,
non fu chiamata a votare.
La storia, qui appena tratteggiata, insegna come la prosperità della Liguria si sia basata
sulla sua autonomia e indipendenza, sulla possibilità, cioè, di decidere una forma statuale
leggera, con burocrazia e rappresentanze ridotte al minimo: esattamente ciò che serve oggi
alla Liguria per tornare ad essere una regione ricca e fiorente, come la Svizzera o Singapore.
Ed è proprio la storia di questa terra, con le sue diversità e le sue peculiarità, che ci
suggerisce quale sia la forma di autonomia da chiedere per la Liguria. Deve essere come
quella del Trentino Alto Adige: là due, qui quattro province autonome che si riuniscono per
formare la Regione. Ma non dimentichiamo che per la rinascita della Liguria bisogna ottenere
che gran parte dei tributi, oggi ingoiati dalla voracità statale, restino alla comunità
ligure esattamente come accade per il Trentino Alto Adige dove il 90% dei tributi resta a
disposizione delle province autonome. Solo così si avranno le risorse per creare quelle
infrastrutture indispensabili per il rilancio della Liguria e la cui mancanza costituisce
oggi il maggior impedimento per la crescita dell'economia ligure.
Sono certo che il candidato del Polo e "oltre il Polo", Sandro Biasotti, imprenditore di
successo, non esiterà a riguardare queste richieste e le loro basi storico culturali come
un punto di forza del suo programma elettorale e della sua attività di governo. Sperare non
costa nulla, conclude Cerulli: oggi abbiamo di più che una speranza.
Genova, 1 novembre 1999
Apparso sul settimanale Arcobaleno
di Sabato 6 novembre 1999
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