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Il Secolo XIX Giovedì 3 gennaio 2008

IL VESCOVO BAGNASCO VIETA L’USO DEL GENOVESE NELLA TRADIZIONALE FUNZIONE DEL 6 GENNAIO

Il dialetto non vale una messa

Daniele Grillo

Articolo apparso sulla prima pagina nazionale
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GENOVA. Le tradizioni antiche non sono dure a morire, o per lo meno non lo sono sempre. Angelo Bagnasco, arcivescovo e presidente dei vescovi italiani, si è sempre detto genovese d’animo e cuore nonostante la nascita in periodo di guerra nel Bresciano di Pontevico. Ma il cuore non ha potuto impedirgli di diramare il divieto (assoluto) di recitare la messa nell’antico idioma dei genovesi. Il dialetto, appunto, la “lingua” che lo stesso cardinale parlava da bambino e sentiva parlare in quel di Sarzano, quartiere bellissimo di Genova, scrigno della città vecchia. Di persona prima e tramite uno scritto poi, attraverso la voce del suo cancelliere, il presidente della Cei ha fatto sapere ai soci dell’associazione “a Compagna”, autori del rilancio della formula in genovese, che questa messa andava archiviata. E dire che le chiese erano sempre piene nelle cinque occasioni annue in cui questo rito si ripeteva. Che a curare la traduzione erano stati esperti di genovese e uno dei più affermati biblisti della città. Che il numero due del Vaticano, Tarcisio Bertone, prima di volare a Roma, ammirò l’iniziativa e si rammaricò per non poterla eseguire in prima persona. «Non conosco il vostro dialetto - scherzò con quelli dell’associazione di nostalgici patrioti dell’antica urbe - altrimenti questa messa la direi io stesso».

Delusione e rammarico da parte dei fedelissimi della “Compagna”, dispetto per gli Amici dell’abbazia del Boschetto, che ogni anno rinverdivano lingua e fede nel giorno dell’Epifania. In realtà Bagnasco non ha fatto che il suo dovere, chiedendo il letterale rispetto di ciò che Benedetto XVI ha espresso in più di un’occasione, non ultima nel “Motu proprio”, riabilitando la messa in latino. Ogni versione alternativa a quella ufficiale dev’essere vagliata dalla Chiesa, dice Ratzinger. Quella in genovese, pur accurata e fedele nei particolari, non lo è. Per ripetere Ave Maria e Padre Nostro nell’antica lingua rimane però una possibilità: fare spazio alla lingua degli avi nella preghiera personale. Lì non servono imprimatur e la fede si può esprimere liberamente.

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