LA STORIA
Per dribblare il divieto di Bagnasco, domani rito in italiano con predica in dialetto |
GENOVA. La messa in genovese è vietata dalla Curia, il vernacolo di Govi non è una lingua riconosciuta dal Vaticano. Però la “messa zeneize” promossa da un gruppo di fedeli e sacerdoti lasciata fuori dalla porta per due anni rientrerà dall’ingresso di servizio: domani l’abbazia del Boschetto di Cornigliano ospiterà la prima celebrazione “commentata in genovese”.
La Chiesa vive (anche) di dogmi, ma andare incontro alle (legittime) richieste dei fedeli è segno di vitalità. E l’idea partita da don Franco (in realtà Sandro, ndr) Carbone nel 2004 univa la comprensione del pastore alla fantasia dell’uomo di marketing: con l’aiuto degli esperti di “A Compagna” aveva tradotto scientificamente la liturgia, partendo dal latino e dall’aramaico. Il cardinale Bertone si era detto entusiasta.
Tutto bene per altri tre anni, poi il cardinale Angelo Bagnasco nel 2008 pone il veto. Niente di personale, fa sapere, però l’interpretazione delle sacre scritture è stata nella storia motivo di scismi, concilii e roghi. Ed è impensabile che un singolo sacerdote faccia da sé: dura lex, sed lex.
Per uscire dallo stallo (linguistico) serve un compromesso alla napoletana. E quest’anno la messa zeneize diventerà “messa con commento in genovese”, tradizionale ma con introduzione alle letture, canti e persino la predica in dialetto.
Concessione al folklore o alla fede popolare? Se invece del Mar Ligure, dalla Lanterna si vedesse il golfo di Napoli, qualcuno alzerebbe la voce per dire che, a volte, i compromessi pagano. E magari riempiono le chiese, perché se pigliano cchiù mmosche cu ‘na goccia ‘e mele, ca cu ‘na vott’acito. Tradotto in italiano: si prendono più mosche con una goccia di miele che con una botte di aceto....