IL MONDO accademico è quello più scettico sull’introduzione del genovese a scuola. «Fosse un corso di cultura locale capirei, ma il dialetto no», sostiene Diego Moreno, ordinario di Strumenti e metodi della Storia Locale a Lettere. Concorda Lorenzo Coveri, professore di Dialettologia italiana e di Linguistica: «L’idea può essere anche buona, però devo precisare che se uno non ha il dialetto come lingua madre non lo si può insegnare. Il dialetto si apprende come lingua madre nell’ambito della famiglia; se uno non lo usa significa che non è più funzionale alla comunicazione. Si può insegnare il dialetto, come tante altre cose, come fatto di cultura, ma mi lascia perplesso il fatto che si insegni una lingua che non si usa più».
C’è un problema ulteriore: «Di quale genovese parliamo? I dialetti liguri sono molti - ricorda Coveri - Sono anche molto diversi. Sarebbe strano che a Ventimiglia si insegnasse il genovese. D’altra parte non è detto che tutti i residenti di quella zona provengano da lì, o dall’Italia. Se è un fatto di cultura che si affianca ad altre cose come le lingue straniere bene. Se questo invece significa una sorta di esclusione per chi non è dialettofono, la cosa non mi va più bene».
In realtà il progetto della Regione e della Compagna è più articolato. Ma l’obiezione non convince Coveri: «Certo, ma per chi dovesse venire da un’altra parte della Liguria? O da un’altra parte dell’Italia? O da un’altra parte del mondo? Perché deve apprendere il ligure magari di Ventimiglia? Poi come sestrese ho un’altra obiezione: perché il mio genovese deve essere sostituito da quello di Carignano? Una cosa è insegnare la cultura dialettale, il rispetto del dialetto, la conoscenza, lo studio: tutto ottimo. Un’altra cosa è insegnare direttamente il dialetto come si insegna una lingua straniera: sono due cose completamente diverse. Il dialetto non si apprende a scuola. O si apprende in famiglia perché è usato, oppure siccome non è più usato per ragioni storiche e sociali, non mi pare il modo di recuperarlo. Finirà per essere l’insegnamento di una lingua morta, purtroppo». Un po’ come latino e greco antico, che pure vengono conservate. «La crisi del dialetto - sottolinea Coveri - è iniziata agli anni del boom, ora siamo un po’ fuori tempo massimo. La differenza fra lingua e dialetto è l’uso: nessuno di noi pensa di usare il dialetto facendo lezione o un’arringa. Se non viene usato, è un’azione generosa ma utopistica».
G.GN.
[Giuliano Gnecco]