franco@francobampi.it

Home > Editi e Inediti > Il professore di meccanica con la passione per la cultura genovese

Precedente ] Successiva ]

Gazzettino

Sampierdarenese

 

ANNO XXXI - N. 9/10 - Novembre Dicembre 2003

Intervista al Prof. Franco Bampi

Il professore di meccanica con la passione per la cultura genovese

Brillante professore di Meccanica razionale presso l'Università di Genova, materia che già di per sé richiede intelligenza vivace ed analitica, giovane quanto basta per essere considerato "in vetta" dopo una scalata più veloce di tanti altri per innegabili meriti. La serenità, che gli proviene da una più che appagante vita familiare, gli consente di avere anche interessi sociali molto intensi.

- Prof. Bampi, le interviste di norma altro non sono che un ficcanasare nella vita delle persone e quindi a Lei vorremmo cominciare a chiedere una sintesi della sua vita, studi e professione, ed eventuali carenze che Ella ha riscontrato, o riscontra, nel nostro ordinamento accademico.
Fin da piccolo ho sempre avuto un’enorme passione per la fisica e per lo studio dell’universo. Il mio maestro di quinta elementare fu buon profeta. «Fategli studiare fisica» fu quello che disse ai miei, finite le elementari. A ventitré anni io, figlio di operai, mi sono laureato con lode in fisica. E ho potuto approfondire lo studio della “relatività generale”, la teoria di Albert Einstein che descrive il funzionamento dell’universo. La carriera universitaria è stata rapida e a trentasei anni ero professore ordinario: in cima alla carriera, insomma. Io ho creduto molto, e ancora ci credo, nell’istituzione universitaria. Purtroppo, dal ministro Ruberti (già rettore dell’università di Roma) in poi l’università è sempre più peggiorata per tre ragioni: l’eccessiva, e in parte inutile, proliferazione delle sedi universitarie, il nuovo sistema di reclutamento del personale docente che, per citare l’aspetto più clamoroso, sta facendo fallire economicamente tutte le università e, non ultimo, il famigerato sistema del 3+2 che ha definitivamente disarticolato il corso degli studi rinunciando all’indispensabile processo formativo degli allievi universitari. Ma qui davvero si apre un mondo: è meglio che mi fermi.

- Lei ha una grande passione, peraltro condivisa da tutti i genovesi con più o meno visceralità, che La porta a combattere una battaglia che per taluni è persa, ma che a nostro avviso meriterebbe un consenso fattivo da parte di tutti. Da quando ha sentito che la genovesità era in pericolo e che occorreva correre ai ripari?
Quando ho vinto il concorso da professore ordinario, a Genova non c’era posto e quindi sono andato per circa quattro anni a Napoli, dove ho trovato i “napoletani”: tantissimi napoletani, gente fiera ma umiliata, cittadini di una antica capitale ma oggi in gran confusione. E all’Università di Napoli i soldi arrivavano più facilmente che, ad esempio, a quella di Genova. Almeno questa fu la mia impressione. Così, ritornato a Genova nel 1990, ho voluto capire cosa fosse davvero Genova, la mia città natale. Anche perché non mi era proprio piaciuta la frase di un collega matematico secondo cui sarebbe stato più facile che un napoletano fregasse un genovese che non il viceversa. Ho scoperto due cose immense: la storia di Genova, grandissima, unica, ma del tutto ignorata, e la lingua genovese, il grimaldello per accedere ai misteri e al fascino di un popolo, quello ligure, fiero e operoso, solidale e generoso, mercante e banchiere. Un mondo questo ancora vivo, specie fuori di Genova, ma che stava, e sta, declinando, scomparendo di fronte al “Grande Livellatore”: sua maestà la televisione! Allora, prendendo esempio dagli antichi genovesi, mi sono dato da fare e ancora continuo, non pensando affatto di smettere.

- Ha trovato in questo suo percorso comportamenti passivi o interessi profondi? Quanti la seguono in questa sua opera di recupero di una cultura cara ai genovesi, ma patrimonio quanto meno nazionale?
Il popolo genovese è stato un grande popolo, capace di intraprendere, di rischiare, di essere generoso e solidale. Ma non ha sopportato proprio per niente di perdere la sua indipendenza, che aveva da oltre 700 anni, a causa delle illegittime decisioni del Congresso di Vienna del 1814-15. Così quello spirito che lo ha reso grande, il voler pochi fastidi, pagare piuttosto che combattere, magari sopportare piuttosto che fare dei soprusi, ebbene quello spirito è stato la causa del suo declino. Ed oggi i genovesi, specie quelli di Genova, affollano le liste del “partîo do maniman”, di quelli che hanno sempre da mugugnare, ma non fanno niente per cambiare, pensando che debbano essere gli altri a fare qualcosa! Ecco cosa si trova in giro: tanta gente che si lamenta perché il genovese non si parla più, ma me lo dice in italiano, politici che si lamentano di non aver soldi, ma tacciono di fronte ai 5000 miliardi di lire che ogni anno il porto di Genova versa nelle casse dello Stato, e via dicendo. Io non mi scoraggio: continuo ad andare avanti, a fare, a essere disponibile per Genova e per la Liguria, per fortuna, assieme a tanti altri.

- Cosa si è ottenuto e quanto lontano è ancora il traguardo della Sua opera di sensibilizzazione?
“Qualcosa si è ottenuto. Intanto molte persone prima di me hanno contribuito a tenere vivo lo spirito e l’animo della genovesità. Cito, per tutte, Vito Elio Petrucci, recentemente scomparso, e Maria Terrile Vietz, sempre disponibile a darsi da fare per Genova con grande generosità. In molte scuole si fanno lezioni di genovese, alcune circoscrizioni offrono corsi di genovese, io stesso ne ho tenuti alcuni. Il prossimo anno vorrei proporre un corso alla circoscrizione di San Pier d’Arena e spero di poterlo tenere. I giornali e le televisioni inseriscono il genovese e le tradizioni liguri con una certa frequenza tra i loro pezzi, come voi fate adesso. Certo è che per salvare il genovese bisogna parlarlo e parlarlo. Io avrei volentieri fatto questa intervista in genovese, ma almeno uno slogan devo dirlo: “Nònni, parlemmo in zeneize a-i nòstri nevi e a-e nòstre nesse”. Se, ai nipoti, i nonni parleranno sempre e solo in genovese potremo ricucire la ferita generazionale e sperare davvero che il genovese ritorni lingua di comunicazione, come lo è stata per i nostri nonni e bisnonni e ancora indietro.”

- Le chiediamo di spendere qualche parola sul M.I.L. (Movimento Indipendentista Ligure).
Il Movimento Indipendentista Ligure (il M.I.L.) è un movimento trasversale ai partiti ed ha un solo scopo: restituire alla Liguria la sua indipendenza perché ne ha diritto internazionale. Mi spiego. Come ho già accennato l’annessione della Liguria, che si chiamava allora Repubblica di Genova, al Regno di Sardegna stabilita dal Congresso di Vienna fu illegittima per due fondamentali motivi. Primo perché il legittimo Governo Ligure di allora non accettò le risoluzioni del Congresso, ma le subì per evitare guai maggiori (invasione militare). Secondo perché il popolo non fu mai chiamato a votare alcun plebiscito per sanzionare la violazione del diritto internazionale causata dall’annessione illegittima. Vi siete mai chiesti perché Vittorio Emanuele II fece votare i plebisciti? Di sicuro non lo fece per bontà d’animo! Ma lo fece per non avere problemi sotto il profilo del diritto internazionale: se il popolo votava sì, tutto era a posto. Con le buone o con le cattive il popolo votò sì. Ma non i Liguri, che non furono mai chiamati ad esprimersi. E già, lo sapeva bene Vittorio Emanuele II che i Liguri avrebbero votato no! Meglio farla reprimere duramente da La Marmora nell’aprile del 1849 questa “vile e infetta razza di canaglie” (così definì Vittorio Emanuele II la popolazione genovese) che osava ribellarsi per riavere la sua libertà e la sua plurisecolare indipendenza!
Studiando questi episodi e portandoli alla conoscenza di tutti, il M.I.L. ha così avuto la certezza che la Liguria ha il diritto internazionale di poter ritornare indipendente, ossia di poter essere nuovamente uno stato sovrano, responsabile dei suoi destini, come lo sono oggi Malta, la Repubblica di San Marino, il Lussemburgo, Cipro, le tre Repubbliche Baltiche, eccetera. Il M.I.L. si batte perché questo diritto sia riconosciuto: sarà poi il popolo, titolare del diritto, a decidere se esercitarlo. Il M.I.L. ritiene che l’esercizio del diritto convenga ai liguri, che starebbero meglio se fossero indipendenti e liberi invece di sudditi dimenticati e marginali in un’Italia approssimativa. Nel sito ufficiale www.mil2002.org può essere trovata tutta la documentazione a riprova di quanto ho asserito.

- 2004: Genova. città della cultura: saremo all'altezza della situazione o ci lasceremo battere da Lille? E ancora Lei ed il Suo movimento vi inserirete in qualche modo nelle manifestazioni?
“A me pare che l’impegno delle istituzioni sia grande e serio. Fare qualcosa è sempre complicato e solo chi non fa non sbaglia: lasciamo il mugugno a quelli del “partîo do maniman”: noi preferiamo darci da fare e fare! Sono quindi convinto che il 2004 sarà una importante occasione per Genova e che sapremo coglierla fruttuosamente. Se un appunto posso fare è che la lingua genovese, nelle sue infinite e straordinarie varianti liguri, gli attualissimi valori dell’antica Repubblica e i diritti del popolo ligure di oggi sembrano del tutto trascurati dal programma per il 2004. Ma confido che, durante il 2004, possano esserci occasioni per parlare di queste cose, tutte molto care al M.I.L.”

Peccato che le interviste della carta stampata debbano per loro natura avere una sintesi che nel nostro caso non rende giustizia, anzi è punitiva per chi legge. Ringraziamo il prof. Bampi e, augurandogli buon lavoro in senso assoluto, gli assicuriamo il nostro appoggio incondizionato per quello che sta facendo per il ripristino del rispetto che dobbiamo a tutti figli, famosi e no, di una Genova che non è solo sport.

Gianna Gandolfo

[ inizio pagina ]