Come professore ordinario, con una carriera per ora esclusa dalla contrattazione
privata, vorrei esprimerle la mia opinione su alcuni problemi dell'Università
italiana.
Ritengo che la questione si debba affrontare stabilendo dapprima quale ruolo
intendiamo affidare alle ''Università''. Infatti molti dei miti relativi al
miglioramento o al consolidamento della posizione sociale dei laureato sono
crollati: la funzione storica dell'Università, ossia quella di ricreare i quadri
dirigenti, è stata di fatto travolta dall'affluenza dei giovani agli studi
universitari, affluenza che ha contribuito a generare il fenomeno della
disoccupazione intellettuale.
Nella confusione che da decenni turba la legiferazione parlamentare, a
seguito dei moti studenteschi del 1968, si procedette con una ambigua riforma
normativa che sfociò nega legge 382/80, successivamente modificata per soddisfare
sia spinte corporative sia, purtroppo, minuscole esigenze contingenti.
La legge 382/80 è un compromesso che fu accettato dalle parti solo perché in
essa ognuno poteva leggere ciò che voleva.
E fu così che, anche grazie a una precedente legislazione regia mai abrogata,
i docenti si sono dovuti ingegnare per adattarsi alle mutate condizioni
dell'Università cercando, i più diligenti, di essere in regola con la legge
senza arrecare eccessivi disagi agli studenti. Ma la confusione resta. Due fasce
(parola inventata ad hoc) di docenza di fatto indistinte nei compiti,
strutture, come Facoltà e Dipartimenti, con competenze conflittuali, dilazioni
infinite nei concorsi, tensioni corporative e ora, con la proposta di
privatizzazione, un possibile ripristino di una baronia selvaggia e priva
di ogni buon gusto; e io sarei, mio malgrado, annoverato tra i nuovi baroni!
Ma non bisogna dimenticare che gli associati, e anch'io quando lo divenni,
furono nominati in seguito a un giudizio di idoneità ad personam fallito
solo da chi aveva inopinatamente pestato i piedi al suo futuro giudice.
Con la legge 168/89 è stato istituito il Murst al quale è stato anche affidato
"il compito di promuovere, attuazione dell'articolo 9 della Costituzione,
la ricerca scientifica" (art. 1). Nonostante ciò, ancora continua a esistere
il consiglio nazionale delle ricerche che, oltre a suscitare scandali per
le nomine, nella sua funzione è essenzialmente un duplicato dell'Università,
"occupato" dai professori universitari in cerca di cariche e di spazi di
potere accademico. Inoltre, poiché il Cnr contribuisce anche a finanziare
la ricerca svolta presso le Università, è chiaro che ogni tentativo di
razionalizzare e controllare le spese per la ricerca è destinato ad
arenarsi, come si è di fatto arenata la cosiddetta "anagrafe nazionale
delle ricerche", istituita dall'art. 63 della legge 382/80 "al fine di
evitare ogni superflua duplicazione e sovrapposizione di strutture
e di finanziamenti".
Si potrebbe proseguire parlando della Facoltà di Medicina, potentissima
sebbene con pochi studenti, oppure citando la cervellotica distinzione
tra tempo pieno, che vieta l'attività professionale, e tempo definito,
che la consente. Ma forse dà che la legislazione davvero consente è
l'aberrazione secondo cui un professore può fare consulenza privata
all'Ateneo al quale appartiene. E così via.
Quali rimedi allora? Non quello formulato gratis da Alberoni sul
Corriere della Sera: "Ogni Università, tanto per cominciare, sia obbligata
ad autofinanziarsi", rimedio così generico da essere probabilmente
peggiore dei male. A mio avviso il problema "Università" è essenzialmente
un problema normativo e amministrativo: di certo è importante arrivare a
un reale decentramento amministrativo delle Università, a una "regionalizzazione",
come sollecita il senatore Miglio. Ma ancor più importante è definire il ruolo
sociale dell'Università, definizione sepolta nell'art. 1 del Testo
Unico delle leggi sull'istruzione superiore, approvato con regio decreto
il 31 agosto 1933, n. 1592, e stabilire forme più moderne ed efficienti
per la gestione degli Atenei. Ma questo lo può fare solo un'altra classe
politica, sorda ai solleciti corporativi dei professori o agli
interessi dei soliti noti.
Franco Bampi
Articolo 1 del Testo Unico delle leggi sull'Istruzione
Superiore, approvato con Regio Decreto, 31 agosto 1933, n. 1592.
L'istruzione superiore ha per fine di
promuovere il progresso della scienza e di fornire la cultura scientifica
necessaria per l'esercizio degli uffici e delle professioni.
Essa è impartita, ai fini e agli effetti
previsti dal presente T.U.:
- nelle Università e negli Istituti superiori governativi;
- nelle Università e negli Istituti superiori liberi.
Le Università e gli Istituti hanno personalità giuridica ed autonomia
amministrativa, didattica e disciplinare, nei limiti stabiliti dal
presente T.U. e sotto la vigilanza dello Stato esercitata dal Ministero
della pubblica istruzione.
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